Armati di cazzuola e picozza, carriola e secchi hanno cominciato a “scoprire” il tesoro nascosto dei giardini di Palazzo Ingrassia di via Biblioteca. Protagonisti dello scavo – avviato in questi giorni nell’ambito del Progetto Archeologico di Montervergine – sono gli studenti del corso di laurea in Beni culturali e in Archeologia del Dipartimento di Scienze umanistiche dell’Università di Catania.
Al loro fianco i residenti del Comitato popolare Antico Corso che, oltre a mettere a disposizione i “ferri del mestiere”, partecipano attivamente alle operazioni. E tra un mazzo di chiavi e qualche resto di bottiglia, i novelli archeologici hanno già recuperato anche ceramiche risalenti agli anni ’50, frammenti di vecchie tegole e di mattoni in argilla, di marmi e di vasi.
Un progetto che prevede attività di ricerca, didattica e divulgazione e che, soprattutto, consentirà per la prima volta di toccare con mano l’archeologia in un’esperienza pubblica e partecipata, aperta a studenti e ai cittadini.
A guidarli la docente Simona Todaro dell’ateneo catanese, responsabile del progetto, insieme con Gioconda Lamagna del Parco archeologico di Catania e Michela Ursino della Sovrintendenza di Catania. Ma anche la dottoranda Flavia Giacoppo e due studentesse della Scuola di specializzazione in Archeologia Anna Maria De Luca e Francesca Florio che passo dopo passo, anche con l’utilizzo di strumentazioni scientifiche (come il livello ottico, lo strumento che permette di effettuare le misurazioni e di registrare le differenze di altezza con precisione), spiegano la “lezione” sul campo.
Il progetto – della durata di tre anni – è promosso dall’Ateneo catanese in collaborazione con la Sovrintendenza ai Beni Culturali e Ambientali e il Parco archeologico di Catania e con il supporto logistico del Comune e prevede anche interventi di valorizzazione dell’area con specifiche azioni di archeologia partecipata dirette agli abitanti del quartiere e ai visitatori e turisti della città di Catania.
«Al momento gli studenti e residenti del quartiere hanno scavato lo strato superficiale, i primi 30 centimetri – spiega la prof.ssa Simona Todaro -. Uno strato che di solito si scava più frettolosamente e che, invece, noi, soprattutto perché molti studenti sono al loro “battesimo” di scavo, stiamo procedendo lentamente. Gli studenti devono sperimentare con calma, senza la paura e l’angoscia di distruggere documenti archeologici».
«Al tempo stesso stiamo riportando alla luce reperti dagli anni ’50 ad oggi che suscitano l’interesse dei residenti e dei fruitori abituali del quartiere – aggiunge la docente -. E proprio da loro riceviamo indicazioni e informazioni come, ad esempio, su alcune ceramiche utilizzate in passato, oltre 30 anni fa, per gli impianti di illuminazione delle strade. È il “segreto” dell’archeologia partecipata dove vi è un continuo flusso di informazioni bidirezionale. Ovviamente quando andremo più in profondità saremo noi a fornire informazioni sui reperti più antichi. Già abbiamo ritrovato anche alcune ceramiche di età medievale».