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È celebrata come festa degli innamorati , Lupercalia, l’origine di San Valentino

È celebrata come festa degli innamorati perché l’agiografia su San Valentino tratta di un patrizio convertito e martirizzato per aver sposato in punto di morte una cristiana e un legionario romano. Eppure, la storia di questa festa non è così semplice.

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Dalle fonti di Plutarco, Dionigi di Alicarnasso e Ovidio, sin dalla Monarchia Romana erano in voga i festeggiamenti in onore a Luperco, divinità protettrice delle greggi dagli attacchi dei lupi: i Lupercalia. Questo culto affonda le proprie radici in una miscela di leggende e Storia.

La leggenda principale narra che i romani, dopo un anno di sterilità – l’ultimo mese dell’anno romano era febbraio – raggiunsero in massa il bosco sacro a Giunone, ai piedi dell’Esquilino, per chiederle come recuperare la fertilità; Giunone rispose che le donne avrebbero dovuto essere penetrate dai caproni. All’epoca il caprone era considerato simbolo di grande fertilità, d’altronde; per interpretare in modo meno zoofilo il disegno divino intervennero gli augure etruschi, una sorta di veggenti italici, che consigliarono di sacrificare i caproni alla dea e utilizzare le pelli degli animali come frusta per picchiare le donne e favorire, secondo la credenza dell’epoca, la fertilità. Non c’è da stupirsi per quest’interpretazione: gli etruschi celebravano allo stesso modo il culto per Soranus sul Monte Soratte.

Le fonti storiche attribuiscono l’istituzione di questi festeggiamenti a Evandro, tratti a loro volta da un culto arcade. Evandro è il padre di Pallante, personaggio dell’Eneide che perde la vita durante la guerra contro i Rutuli capeggiati da Turno. Nel duello finale tra Enea e Turno, il profugo troiano non ha pietà dell’avversario proprio perché gli riconosce addosso la cintura di Pallante.

Eneide a parte, Evandro è tradizionalmente ricordato come figlio di Mercurio e Carmenta, dea della gravidanza e patrona delle levatrici, raffigurata con un’arpa in mano e sulla testa una corona di fave. Chi meglio di Evandro, figlio di una dea con le fave in testa, per attribuire un culto per favorire la fertilità dei romani?

I preparativi per il culto iniziavano il 2 febbraio e la celebrazione si svolgeva il 15; era una delle feste più importanti di Roma al punto che, sotto la Monarchia Romana, era utilizzata dai re per rinnovare pubblicamente la loro incoronazione davanti all’intera popolazione di anno in anno. I devoti che operavano il rito, denominati Luperci, vestivano solo pelli di capra sui fianchi e coprivano le membra col grasso, oltre a indossare sul viso una maschera di fango. La celebrazione era suddivisa in due parti: nella prima venivano iniziati due neofiti ai Luperci, segnando la loro fronte col coltello sacrificale impregnato nel sangue di capra e successivamente pulito nella lana bianca degli stessi animali sacrificati; nella seconda, consegnate le fruste ricavate dalle pelli a tutti i devoti, iniziava l’inseguimento per raggiungere e frustare tutte le donne presenti. Infine, era prassi concedere un collaudo alla fertilità rinnovata con un’enorme festa orgiastica e mantenendo accese le candele rituali per tutta la notte. L’iniziazione dei due neofiti rievocava il ritrovamento di Romolo e Remo – non per niente allevati dalla Lupa – da parte del pastore Faustolo, e ognuno di essi andava a comporre le due schiere di iniziati al rito, che portavano il nome delle gentes Fabii e Quinctii, probabilmente “patrocinatori” dei festeggiamenti. A proposito delle schiere dei Luperci, la Storia tramanda un aneddoto comico: nel 44 a.C., Giulio Cesare provò a restaurare la Monarchia Romana ricalcando l’usanza dei re del passato di farsi incoronare in occasione dei Lupercalia. Per accattivarsi il popolo inaugurò una terza schiera di Luperci a suo nome, gli Iulii, inserendo tra gli iniziati il suo fidato Marco Antonio. Tuttavia, quando il pubblico comprese che Cesare stesse tentando di strumentalizzare a fine politico la festa, si sfiorò il rischio di un’insurrezione popolare, così il condottiero si ritrovò costretto ad annullare l’incoronazione e fingere maldestramente di voler in realtà porre la corona in sacrificio a Giove. Marco Antonio, che avrebbe dovuto incoronare Cesare, dovette così far sparire la corona che aveva in mano e corse via dalla folla, ancora nudo per via dell’esecuzione del rito.

Per quanto possa sembrare strano, i Lupercalia proseguirono ininterrottamente fino al 496, quando papa Gelasio I ottenne dal Senato la loro abolizione. Ciò non bastò per placare una tradizione così ben voluta dagli istinti sessuali dei romani, così la Chiesa tornò all’attacco istituendo per il 14 febbraio il giorno di San Valentino come “protezione per gli innamorati”. Anche questo, evidentemente, non fu sufficiente. Allora la Chiesa istituì proprio per il 15 febbraio la celebrazione della presentazione di Gesù al Tempio, simboleggiando la prima “illuminazione” di Cristo con l’accensione di candele in tutta Roma in modo da confondere le candele per i Lupercalia con quelle della nuova festa cristiana, ben presto denominata “Candelora”. Nonostante questi tentativi, furono necessari altri cento anni prima di eliminare del tutto la festa pagana: per soppiantare anche l’apertura dei preparativi la Candelora fu anteposta il 2 febbraio e, per soppiantare definitivamente la celebrazione del 15, dato che il personaggio romano dei Lupercalia con il nome più affine ai santi disponibili da piazzare in quella data era Faustolo, fu istituita la celebrazione di un santo che tuttora è erroneamente considerato il protettore dei celibi e delle nubili: San Faustino, un povero Cristo – è il caso di scriverlo – che ha subito il martirio assieme al fratello Giovita a Milano, Roma, Napoli e Brescia per via della loro predicazione, ma nulla li riconduce a una celebrazione per single. La Legenda Maior di San Francesco d’Assisi è l’unica fonte da cui è possibile apprendere la loro storia e, purtroppo, non c’è nessuna informazione sulla loro situazione sentimentale. D’altronde si tratta di una fonte di San Francesco d’Assisi, mica di Mark Zuckerberg.

 

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