Colti, benestanti, provenienti in gran parte dal Nord Italia ( e dal Nord Europa): i turisti 2.0 non viaggiano semplicemente per vedere, ma per vivere, anche solo per un giorno, un frammento della vita di qualcun altro. Rosario D’Acunto, presidente di Assotes, l’associazione che rappresenta gli operatori del turismo esperienziale in Italia, delinea per Adnkronos il profilo di questo nuovo viaggiatore: “Si tratta di individui curiosi, che non si accontentano di ammirare le opere di Botticelli a Firenze, ma vogliono mettersi alla prova, magari imparando l’arte dell’affresco”. Il viaggiatore moderno non ha confini geografici: “È più interessato a ‘fare’ che a ‘vedere’, meno propenso a scorrere rapidamente le attrazioni principali, più desideroso di rallentare e assaporare la vita locale”, spiega D’Acunto.
Questo pubblico non si limita a esplorare le città d’arte: sulle colline di Palermo, ad esempio, un’azienda agricola sta preparando un’esperienza legata alla vita del pastore, dove i visitatori imparano a guidare un gregge, si cimentano nella produzione del formaggio locale e scoprono l’uso degli strumenti tradizionali. “Non si trasmette solo un sapere pratico – sottolinea D’Acunto – ma anche un sentire comune: chi sceglie questo tipo di esperienza desidera immergersi nei valori e nella vita di una comunità”.
Il turismo esperienziale rappresenta una frontiera promettente, genera un fatturato di quasi 20 miliardi di euro con una crescita prevista del 10% nei prossimi anni. Tuttavia, D’Acunto avverte: “Il problema nel nostro Paese è che spesso i tour operator spacciano per turismo esperienziale una semplice visita guidata o una passeggiata a cavallo”. Questa nuova modalità di viaggio, prosegue il presidente di Assotes, “significa immergersi in una realtà locale: è un’esperienza olistica che mette in dialogo i diversi attori di un territorio”. La sfida è renderlo sempre più accessibile: “L’obiettivo – afferma D’Acunto – è creare esperienze modulabili, adatte a diverse fasce di reddito e capacità economiche”. In un’epoca di overtourism, dove un like sui social può determinare la meta di un viaggio, D’Acunto non ha dubbi: “È necessario investire nella professionalizzazione del settore, che non è un semplice tour enogastronomico, ma l’opportunità di vivere un brano autentico della vita di una comunità”.