Palermo, 26 gen. – Colpo al clan del mandamento mafioso diTommaso Natale a Palermo dove la Procura Distrettuale Antimafia ha emesso un provvedimento di fermo di indiziato di delitto nei confronti di 16 indagati che sono stati tratti in arresto all’alba di oggi dai Carabinieri. Sono ritenuti a vario titolo responsabili dei delitti di associazione per delinquere di tipo mafioso, tentato omicidio, estorsioni consumate e tentate aggravate, danneggiamento seguito da incendio, minacce aggravate, detenzione abusiva di armi da fuoco. L’indagine, coordinata dal procuratore aggiunto Salvatore De Luca e dai sui sostituti, costituisce “l’ennesimo risultato di un’articolata manovra condotta dal Nucleo Investigativo di Palermo sul mandamento mafioso di Tommaso Natale e, in particolare, sulle famiglie di TommasoNatale, Partanna Mondello e Zen – Pallavicino”, dicono i carabinieri.
L’attività ha permesso di riscontrare come “la piena vigenza della ricostituita commissione provinciale di cosa nostra palermitana, riunitasi il 29 maggio 2018 dopo quasi trent’anni di inattività, abbia condizionato le dinamiche criminali del mandamento mafioso oggetto delle indagini”. Infatti, in linea con le regole stabilite, “il nuovo reggente del mandamento, Francesco Palumeri, si è reso protagonista, non senza rilevanti frizioni interne, della riorganizzazione degli assetti della articolazione mafiosa, dopo il momento di criticità conseguente all’operazione Cupola 2.0”.
Le risultanze restituite dall’indagine Tenero, che aveva portato agli ultimi arresti del 23 giugno 2020, avevano infatti dimostrato come il mandamento mafioso di Tommaso Natale, almeno fino a maggio 2018, era controllato da Nunzio Serio. Per gli inquirenti “La famiglia mafiosa di Partanna Mondello era affidata alla reggenza di Francesco Palumeri, mentre quella di Tommaso Natale era nelle mani di Antonino Vitamia. Già in quel periodo si era compreso che il territorio della borgata dello Zen, strategicamente determinante, era affidato alla reggenza di Giuseppe Cusimano”. “Questa era la composizione di vertice del mandamento di Tommaso Natale aggiornata al mese di marzo 2018, compagine comunque in continuo divenire, perché già il successivo 14 maggio 2018, Nunzio Serio era stato nuovamente arrestato ed al suo posto subentrava Calogero Lo Piccolo, da poco rientrato a Palermo”. L’immissione di Calogero Lo Piccolo “alla guida del mandamento di Tommaso Natale non apportava, di fatto, significativi cambiamenti – dicono gli investigatori – Le persone sopra richiamate, infatti, rimanevano saldamente alla guida delle rispettive articolazioni territoriali”.
Il 29 maggio 2018, si è tenuta la riunione della neo ricostituita commissione provinciale di cosa nostra palermitana, la Cupola 2.0. “A questo incontro, così come confermato dai collaboratori Filippo Bisconti e Francesco Colletti, aveva preso parte il nuovo capo del mandamento mafioso di Tommaso Natale, ovvero Calogero Lo Piccolo, che era stato accompagnato proprio da Francesco Palumeri il quale veniva individuato come suo portavoce, e dunque vice, del suo capo, poi tratto in arresto”. Questa circostanza assumerà un significato rilevante nella parte finale dell’indagine, perché Giulio Caporrimo, “che durante la realizzazione dell’ambizioso quanto strategico cambiamento nell’assetto mafioso della provincia palermitana era detenuto, una volta riacquistata la libertà il 24 maggio 2019, si scontrava con la realtà di questa nuova componente del mandamento di riferimento e soprattutto con una nuova leadership, determinando un vero e proprio corto circuito”.
Secondo gli investigatori Giulio Caporrimo infatti, si vedeva sottoposto alla direzione di un Francesco Palumeri che egli non riconosceva come suo leader e soprattutto non riteneva all’altezza di un simile incarico. “Allo stesso modo, non riteneva ammissibile quello che era accaduto con la riformulazione della commissione, perché le decisioni assunte al riguardo, secondo le sue valutazioni, andavano fuori da quella cornice di ortodossia mafiosa che caratterizza cosa nostra, essendo stata violata, secondo lui, una delle regole principali dell’organizzazione, ovvero quella che si sintetizza nel fatto che si è mafiosi fino alla morte e si mantiene il proprio incarico di vertice anche nel corso della detenzione”. Caporrimo, quindi, che non considerava Palumeri un reggente, riottenuta la libertà, di lì a breve e dopo aver toccato con mano la nuova realtà associativa, decideva di stabilirsi a Firenze per prendere le distanze da questa nuova organizzazione che egli giungeva a definire non più come ”cosa nostra” ma come ”cosa come vi viene”.
“Di contro, la decisione di defilarsi di Caporrimo ha dimostrato la piena operatività delle decisioni prese dalla nuova commissione provinciale. Francesco Palumeri, in quanto portavoce e vice di Calogero Lo Piccolo, ha avuto quindi il titolo formale per imporsi su Caporrimo che, giocoforza, ha dovuto, almeno inizialmente, soccombere”, spiegano gli inquirenti. Cosa nostra, organizzazione verticistica disciplinata da regole precise, quindi, si trova davanti a un bivio: “accettare il ricostituito organismo provinciale, oppure, rimettere in discussione tutto attraverso le persone più carismatiche che vengono nel tempo rimesse in libertà, come nel caso di Caporrimo”.
E in effetti, Caporrimo, dopo aver trascorso un periodo di isolamento a Firenze, rientrava a Palermo in data 11 aprile 2020, “riuscendo in poco tempo ad accentrare nuovamente su di sé le più delicate dinamiche dell’intero mandamento, senza i paventati spargimenti di sangue che pure era disposto ad affrontare. Risulta “dimostrato che Caporrimo, appoggiato dalla sua base mafiosa sul territorio tornato a Palermo, ha ripreso in mano le redini dell’intero mandamento mafioso, sino al suo ultimo arresto avvenuto con l’operazione Teneo nel giugno 2020, che chiude di fatto l’attività investigativa sul suo conto”.
Durante il periodo del lockdown i boss mafiosi hanno aiutato le famiglie indigenti dello Zen distribuendo la spesa. E’ quanto emerge dall’operazione che all’alba di oggi ha portato al fermo di sedici persone a Palermo. Nel blitz dei Carabinieri emerge come i vertici mafiosi abbiano tentato di accreditarsi quali referenti nel periodo del primo lockdown a marzo. Secondo gli inquirenti il presunto boss Giuseppe Cusimano, ha tentato di organizzare una distribuzione alimentare. Una circostanza, “che dimostra come Cosa nostra è sempre alla ricerca di quel consenso sociale e di quel riconoscimento sul territorio, indispensabili per l’esercizio del potere mafioso”, dicono i pm.
Una sfida ‘a duello’ tra boss allo Zen di Palermo. E’ quanto emerge dalle carte dell’operazione che all’alba di oggi ha portato al fermo di sedici persone. “Fra i tanti momenti di tensione si è registrato, lo scorso settembre 2020, un grave episodio allo Zen, allorquando due gruppi armati si sono sfidati ”a duello” -raccontano gli investigatori – I due gruppi, infatti, di cui uno composto da Andrea e Carmelo Barone appoggiati da Giuseppe Cusimano, si sono affrontati armi in pugno, in pieno giorno e sulla pubblica via, esplodendo svariati colpi di pistola che solo per un caso fortuito non hanno provocato la morte o il ferimento dei contendenti odi passanti”. “Questi fatti, assieme ad altri episodi, hanno indotto i vertici mafiosi a prendere provvedimenti nei confronti dei riottosi, meditandola soppressione di alcuni soggetti non allineati, la cui realizzazione è stata scongiurata grazie all’opera di prevenzione degli investigatori”, spiegano gli inquirenti.
(Adnkronos)