CATANIA – Su delega di questa Procura della Repubblica, i Finanzieri del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Catania hanno dato esecuzione a un’ordinanza di misure cautelari emessa dal G.I.P. del Tribunale di Catania nei confronti di 2 persone sottoposte agli arresti domiciliari, indagati per usura aggravata perpetrata a danno di un piccolo imprenditore.
Con il medesimo provvedimento è stato disposto il sequestro preventivo finalizzato alla confisca del complessivo profitto usuraio pari a circa 35 mila euro.
La vittima, prima lavoratore dipendente non in regola e successivamente titolare di una ditta individuale esercente la propria attività in Catania, al fine di fronteggiare, inizialmente, bisogni personali e, successivamente, di sostenere la propria attività professionale, si rivolgeva ai due soggetti arrestati per ottenere, in più fasi, prestiti in denaro contante per un complessivo ammontare di 32 mila euro.
Sono stati posti agli arresti domiciliari:
– Camillo SCUDERI (cl.1984, detto Meluccio), il quale vanta legami parentali con esponenti della criminalità organizzata quali il padre Salvatore SCUDERI (cl.1963), clan Santapaola-Ercolano, oggi in regime di libertà vigilata, condannato per la sua partecipazione a cosa nostra etnea, per produzione, spaccio e traffico di stupefacenti, rapina, sequestro di persona a scopo di rapina nonché per estorsione aggravata dal metodo mafioso e il suocero Alessandro DI PASQUALE (cl.1970), scarcerato nel 2015 dopo essere stato tratto in arresto per traffico di stupefacenti;
– Alfonso Giovanni ANGIOLINI (cl. 1957, noto come ‘zu Giuvanni di bibiti), titolare dell’omonima ditta individuale esercente il commercio al dettaglio ambulante prevalentemente di bevande ma anche di profumi, cosmetici, saponi; l’impresa in questione, nell’ultimo triennio, non ha prodotto redditi da assoggettare a imposte.
Le meticolose e celeri investigazioni condotte dai Finanzieri del Nucleo P.E.F. di Catania, sviluppate attraverso l’esecuzione di intercettazioni telefoniche, ambientali, accertamenti bancari riscontrate dalle dichiarazioni acquisite dall’usurato, consentivano di raccogliere gravi e precisi indizi sull’applicazione di tassi d’interesse usurai fino al 2.000 % su piccoli prestiti concessi dagli arrestati a far data dal 2011.
Nello specifico, SCUDERI erogava alla vittima 10 prestiti per un ammontare complessivo di 18.000 euro in contanti pretendendo quale compenso – oltre ovviamente la restituzione del capitale – interessi per oltre 23 mila euro calcolati con un tasso oscillante tra il 117% e il 1997 % ben oltre la soglia limite fissata nel periodo di riferimento tra il 16 e il 17%.
ANGIOLINI, invece, dal canto suo, concedeva 3 prestiti in denaro all’usurato per complessivi 14.000 euro applicando un tasso variabile tra il 108% e il 650% così pretendendo interessi per oltre 11.000 euro.
La vittima fu costretta a rivolgersi a SCUDERI nel 2011 in quanto, non disponendo di redditi ufficiali e continuativi, non poteva avere agevole accesso a piccoli prestiti bancari; pertanto, al fine di sostenere i costi iniziali per l’avvio di un’istruttoria per la concessione di un mutuo bancario per l’acquisto della prima casa, l’usurato si rivolse a “Meluccio”, noto per essere, già al tempo, persona che concedeva prestiti usurai. Il patto criminale prevedeva il versamento del denaro contante alla vittima sottraendo già dal capitale la prima rata d’interessi mensili calcolati al 10%. In pratica, la persona offesa, richiesto un prestito di 1.000 euro, acquisiva la disponibilità immediata di euro 900 con l’obbligo di versare interessi mensili di 100 euro, senza limiti temporali, ma sino all’integrale restituzione dell’intera somma mutuata (euro 1.000) da corrispondere in un’unica soluzione. Iniziano così le vicissitudini del piccolo imprenditore che, una volta imboccato il “tunnel” dell’usura, si trova costretto ad avanzare nuove richieste di prestito sia per onorare il corrispettivo usuraio stabilito quanto per sostenere la propria attività lavorativa e soddisfare i propri bisogni familiari.
La pressione esercitata da SCUDERI per il recupero dalla vittima del capitale prestato era costante e non vi era stato mai motivo che sfociasse in atti intimidatori espliciti in quanto la perentorietà delle ingiuste condizioni contrattuali imposte non veniva mai posta in discussione; anzi è lo stesso SCUDERI ad ingegnarsi per escogitare nuove formule che gli favorissero il rientro del capitale “investito”. In un’occasione, per la restituzione di un prestito di 2.000 euro (a fronte del quale erano già stati corrisposti 3.000 euro di interessi), il malcapitato era costretto ad accendere un finanziamento per 3.000 euro con un Istituto bancario a nome della sua convivente (con addebito diretto sul conto corrente di quest’ultimo di 12 rate mensili da 270 euro) per l’acquisto di porte di una nuova abitazione in uso a SCUDERI. Nel caso specifico, l’usurato, per la restituzione del capitale di 2.000 euro, era costretto a contrarre un finanziamento per un importo ben maggiore.
Lo schema adottato da SCUDERI per l’acquisto delle porte veniva ripetuto anche per la restituzione di un capitale di 3.000 euro per la quale la persona offesa era costretta ad accendere un finanziamento per 4.800 euro circa in modo da consentire a SCUDERI di acquistare un nuovo scooter. Da ultimo, anche per l’acquisto di un’autovettura del valore di 15 mila euro, SCUDERI, per velocizzare la restituzione dei suoi capitali dati a prestito, imponeva alla vittima l’accensione del solito finanziamento a carico del convivente. Per la concessione del prestito in questione, SCUDERI interveniva direttamente nella procedura di accensione presentando buste paga fasulle per conto del soggetto a cui poi sarebbero state addebitate le rate di finanziamento.
A partire dal 2015, già stretto nella morsa usuraia, la persona offesa, nel frattempo esercente una piccola attività professionale, si vedeva costretta a rivolgersi anche ad ANGIOLINI il quale concedeva, in tre distinte circostanze, prestiti di 4.000, 6.000 e ancora 4.000 euro in contanti. La rata usuraia pretesa quale corrispettivo ammontava complessivamente per i 3 prestiti a 450 euro settimanali pari a un tasso oscillante tra il 108% e il 520% ben oltre la soglia limite del 17%. Per la restituzione di un capitale residuo di 6.900 euro, invece, la vittima si vedeva costretta a cedere in garanzia la propria attività professionale ad ANGIOLINI valutandola 15.000 euro, valore sottostimato rispetto a quello reale di mercato, così ricavandone, in contanti, la differenza pari a 8.000 euro. L’usurato poteva continuare ad esercitare la sua professione pur avendo ceduto, solo informalmente, l’impresa, pagando un affitto di 100 euro settimanali. Il piccolo imprenditore, pur restando intestatario della licenza, aveva perso anche l’azienda e per il suo riacquisto era stato pattuito che dopo il pagamento dei canoni di locazione nella misura suindicata, per cinque anni, avrebbe avuto la possibilità di riscattarla a un prezzo di 15.000 euro.
La vittima, in più circostanze, tentava di far valere le proprie ragioni sottolineando agli strozzini che non era più nelle condizioni di poter adempiere ai pagamenti impostigli e che comunque aveva corrisposto agli stessi interessi pari ad almeno il doppio del capitale ricevuto. Ciò nonostante i due soggetti arrestati non desistevano dai loro propositi criminali così portando fino in fondo la loro azione di recupero dei profitti usurai.
La brillante operazione conclusa dalla Guardia di Finanza di Catania rappresenta un monito per le imprese leali chiamate a denunciare ogni fenomeno illecito che soffoca la libera iniziativa economica togliendo soprattutto alle piccole aziende qualsiasi possibilità di crescita e affermazione nel mercato di riferimento.