Ogni volta che vedo un’opera di Shakespeare mi chiedo sempre la stessa cosa: cui prodest? A chi giova? Ieri alla prima de Le allegre comari di Windsor con la regia di Giovanni Anfuso, sentivo alcune insegnanti che dicevano: “No, non ho letto la trama che mi volevo sorprendere”, “Io conosco il titolo, ma mi sfugge il contenuto”. Parliamo di scuole superiori di liceo scientifico per l’esattezza. In realtà poche persone conoscono il senso autentico delle opere shakespeariane, che tutti quelli che “sanno” vanno avanti per luoghi comuni appesi a quattro nozioni di erudizione di seconda mano, qualche film di Kenneth Branagh, qualche riassunto di bignami: i migliori hanno visto la spettacolare collezione della BBC con gli attori teatrali britannici. E là è finita. Quando un autore come Shakespeare, “o chi per lui”, metteva in scena un lavoro, una commedia come questa, aveva un suo perché: oggi diremmo noi una contestualizzazione storica di un evento preciso, che a noi, dopo 400 anni oserei dire, in qualche modo ci sfugge…
Infatti pare che sia stata la stessa Elisabetta I a chiedere a William di scrivere una commedia dedicata a Falstaff il personaggio già apparso nell’Enrico IV ed Enrico V. Lo stesso Falstaff che troveremo poi come personaggio di un’opera lirica di Giuseppe Verdi e di un film di Orson Welles: e non vi sembra strano che un personaggio così presente possa essere veramente quello che è: un briccone anziano, grossolano ubriacone e donnaiolo, quanto invece essere un simbolo di qualcos’altro, di più profondo, un rappresentante di un movimento religioso, politico insomma qualcosa da sbeffeggiare perché alla nostra regina Elisabetta I non stava bene, quel movimento politico e religioso. Perché era il momento in cui lo scisma religioso, cioè la religione anglicana, religione di stato in cui il re è a capo pure della chiesa. Ricordiamo che fu il padre di Elisabetta I, Enrico VIII a creare lo scisma per poter sposare sua madre Anna Bolena. Ma gli inglesi dell’epoca, cioè lo stesso popolo che andava a vedere i lavori di William, queste cose le sapevano perché per loro non era storia, era la vita quotidiana. Sicuramente ne sapevano più di noi: per questo si divertivano più di noi a vedere Le comari, perché se c’è un gallese, un francese, un irlandese, che sono un medico, un prete o un magistrato per loro aveva un senso, per noi no! Falstaff era ispirato ad un cavaliere grasso e vanaglorioso, tale sir John Oldcastle, ucciso sotto il regno di Enrico V, perché era un Lollardo. I Lollardi definiti con intento dispregiativo i poor preachers (poveri predicatori), erano un movimento politico-religioso inglese, attivo sino agli inizi dello scisma anglicano.
Ora voi pensate che tutta la trama de Le allegre comari di Windsor si svolga veramente intorno alle “corna” che il mitico Falstaff voleva infliggere ai due ricchi borghesi di Windsor? E perché proprio a Windsor, dove ci stava il Castello della regina? Il finale tipicamente “pagano” del nostro bardo sta a simboleggiare il dio dei boschi “il cornuto” Cernunnos, divinità preceltica, che viene deriso, moralmente e fisicamente abbattuto…il popolo non sapeva né leggere né scrivere e quindi quando i predicatori andavano in giro a propugnare nuove o vecchie teorie come i sovversivi “lollardi” andavano fermati con i mezzi persuasivi dell’epoca. Oggi il popolo sa leggere e scrivere ma non solo è sempre più istupidito dai media, frequenta una scuola dove chi insegna non sa spesso cosa sta insegnando, perché non ha la conoscenza reale delle cose: paradossalmente un analfabeta elisabettiano riusciva a capire meglio un lavoro shakespeariano di un qualsiasi professorone odierno. Per quanto riguarda la messa in scena di Giovanni Anfuso, abbiamo trovato ottima la location, i costumi, le luci, forse un po’ troppo accademici i personaggi, a tratti dei lampi di genio come il tango tra Falstaff e comare Ford. Il consiglio è di andarlo a vedere: però prima preparatevi, date una lettura alla trama, contestualizzate l’evento, che così non vi sentirete spaesati e riuscirete a ridere, a commuovervi e ad arrabbiarvi nei tempi e nei momenti giusti perché state comprendendo quello che state vedendo.
A proposito il nome della locanda “La giarrettiera” è riferito ad un ordine cavalleresco fondato da re Edoardo III nel 1346. L’ordine è ancora esistente e la regina, oggi Elisabetta II, è a capo dell’ordine. La leggenda racconta: ad un ballo di corte, una contessa perse una giarrettiera. Il re si abbassò per raccoglierla e si offrì di aiutare la sua ospite a indossarla di nuovo. Udendo i bisbigli e le risatine maliziose dei suoi cortigiani, si alzò e disse loro in francese che allora era la lingua di corte: «Honi soit qui mal y pense!» (Sia vituperato chi ne pensa male), che divenne poi il motto dell’Ordine.