Leggendo “Miti e Misteri” di Kerenyi, medito sul fatto che Prometeo non riesce a svincolarsi dalla catene del mondo di Zeus, in ciò simboleggiando il travaglio dell’umanità. È un antesignano dei Cristo: sopporta il supplizio in virtù della nascente razza umana. Per quanto astuto, Prometeo patisce la sofferenza fisica e morale che sarà la caratteristica dell’essenza umana, concetto che Kratos non può intendere, vincolato com’è alla “cieca” onniscienza di Zeus, priva di contorsioni e depositaria “del potere che da solo decide del diritto”. Prometeo evoca i sacri elementi in qualità di testimoni della sua profonda ingiustizia, con ciò fondando il concetto stesso di “diritto” e determinando una catarsi del supplizio correlata al concetto stesso di “amore” per la specie nascente. Lo iato tra entità non antropomorfe e divinità antropomorfe, è così colmato da questa sorta di passione di Prometeo, che funge da legame tra i vari mondi. Tuttavia, il mistero continua a far breccia nell’animo degli esseri senzienti. E Proust giunge a suffragare questa mia sensazione (insisto molto sulla necessità di letture comparate, e possibilmente di testi molto distanti temporalmente fra loro), giacché l’essere umano è specchio di ciò che Abhinavagupta definisce il “Tremendo”: “Il volto umano é veramente come quello del Dio di una teogonia orientale, tutto un grappolo di volti giustapposti su piani differenti e che riusciamo a vedere contemporaneamente. Ma, in gran parte, il nostro stupore proviene dal fatto che l’essere ci presenta anche una stessa faccia”.
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