Roma, 5 feb. – Mario Draghi e Mario Monti: ci sono assonanze ma rilevanti differenze nel caso dell’ex banchiere centrale e presidente del Consiglio incaricato e dell’ex commissario europeo alla Concorrenza nonché premier nel 2011-12. L’uno chiamato a riportare la crescita con l’aiuto dell’Europa e dei suoi fondi, purché ben spesi; l’altro chiamato a risanare i conti in stretta osservanza dei vincoli Ue.
In comune hanno di certo l’epiteto ‘SuperMario’ come li ha ribattezzati la stampa internazionale che li ha osannati: il primo per aver dispiegato la potenza di fuoco dell’Eurotower in piena crisi dell’euro piegando persino l’intransigente Bundesbank tedesca; il secondo per aver bacchettato colossi intoccabili in nome del libero mercato e della concorrenza leale. Formazione d’eccellenza, Draghi e Monti hanno in comune i licei gesuiti, il primo a Roma e il secondo a Milano, e i master negli atenei dell’Ivy League, passando per la Sapienza (Draghi) e la Bocconidi Milano (Monti). Entrambi tecnici illustri, escono dalla nebbia della crisi come cavalieri bianchi chiamati a traghettare il paese fuori da una fase di emergenza: la crisi dell’euro del 2011 per Monti con il paese sull’orlo del default e la crisi economico-socio-sanitaria da Covid per Draghi. Ma a parte queste consonanze, i due casi presentano differenze macroscopiche.
La crisi innescata dal coronavirus è sì di gran lunga più pesante della crisi della moneta unica, ma Draghi ha dalla sua parte munizioni importanti: l’occasione dei fondi da 209 miliardi del Recovery plan e la sospensione dei paletti di Maastricht. Mario Monti aveva un’unica arma, fortemente invisa al popolo e alla politica: l’austerity che ha comportato scelte impopolari e dolorose per i suoi stessi ministri. Vedi, le lacrime dell’allora ministro del Lavoro Elsa Fornero all’annuncio dello stop alle indicizzazioni pensionistiche. Il governo Draghi, dunque, può sperare di non dover mettere le mani nelletasche degli italiani, da qui l’atteso appoggio della politica per aprire lo scrigno del Piano nazionale di ripresa e resilienza da 209 miliardi.
L’obiettivo affidato a Draghi è la ripresa del Pil ponendo le basi per un paese green, digital ispirato all’equità sociale con la benedizione dell’Europa e, dunque, un percorso virtuoso che indirettamente contribuirebbe a tagliare l’alto debito italiano. La priorità affidata a Monti a suo tempo era il risanamento dei conti, con la scure dell’Uesempre pronta a colpire. Dalla diversa mission ne deriva anche la compagine di governo. Chiamato a scelte difficili il governo Monti fu squisitamente tecnico: il suo interim all’Economia che poi fu affidata a Vittorio Grilli, Elsa Fornero al Lavoro, Corrado Passera, superministro dello Sviluppo economico e delle Infrastrutture, per citarne alcuni. Si ragiona invece su una compagnie tecnico-politica per Draghi: per il Tesoro accanto al nome dei tecnici di Dario Scannapieco (Bei) e Ernesto Maria Ruffini (Entrate) emerge quello dell’ex premier Pd Paolo Gentiloni, alMise e negli altri dicasteri si dovrebbe puntare ad un equilibrio tra tecnici e politici in proporzione alle forze dell’alleanza di governo.
(Adnkronos)