(Adnkronos) – “Il welfare di Coop Alleanza 3.0 è uno strumento che vuole dare alla comunità delle lavoratrici e dei lavoratori risposte e strumenti il più possibile adeguati alla necessità, sempre più attuale, di trovare un equilibrio tra le due componenti della vita: il tempo che si dedica al lavoro e quello che si dedica a se stessi, alla propria famiglia e ai propri interessi. Per questo, come tutti i sistemi di welfare evoluti, la nostra piattaforma prevede strumenti non solo di sostegno economico, ma anche misure per il monitoraggio della salute e la promozione di stili di vita sani, senza dimenticare forme di incentivazione alla mobilità sostenibile”. Così la direttrice generale di Coop Alleanza 3.0, Milva Carletti, la più grande cooperativa italiana, con 16mila dipendenti, in un’intervista ad Adnkronos/Labitalia in occasione della Giornata internazionale delle donne, parla del tema del welfare aziendale.
“Ma c’è un aspetto specifico, direi inedito, che più di ogni altro lo rende peculiare e molto avanzato”, sottolinea e chiarisce: “Devo fare un passo indietro: oggi pare dominante l’idea che un’azienda sia tanto più attrattiva quanto più mette le persone nella condizione di lavorare da casa per avere più tempo per sé, più flessibilità, e teoricamente più opportunità di dedicarsi ad altro. Questo paradigma non è sbagliato, ma noi pensiamo che sia sbagliato ritenere che sia adatto a tutte le situazioni. Voglio essere più chiara: attraverso quel paradigma, spesso la flessibilità e il ‘tempo per sé’ diventano gli strumenti che consentono di farsi carico di altri compiti, tipicamente di caregiving nell’ambito familiare e tipicamente da parte delle donne. Sono i dati a mostrare che questo sbilanciamento è una delle cause del ‘gender gap’: il Gender employment gap di Eurostat rileva che l’Italia è penultima in tutti i Paesi Ue per rapporto tra uomini e donne occupate, il doppio della media europea”.
“Considerando questo e quanto importante sia la presenza femminile nella nostra cooperativa, abbiamo voluto costruire un welfare – osserva – che tenesse conto di queste istanze. Uno strumento che consenta a chi lo desidera di impegnarsi nelle cure della propria famiglia ma che fornisce anche tutele diverse in modo che, chi lo vuole, possa delegare parte di quei compiti e continuare a concentrarsi e trovare soddisfazione nella realizzazione lavorativa. Credo che, oggi più che mai, sia questa la vera chiave per una visione inclusiva del lavoro, un lavoro che non deve stigmatizzare le scelte individuali e che al contrario deve aiutare uomini e donne a realizzarsi come persone nella direzione che desiderano”.
“La visione del nostro welfare – prosegue – è paritaria. Come ho detto, vogliamo limitare quanto più possibile che una lavoratrice o un lavoratore, a prescindere dal genere, debbano per forza assentarsi dal lavoro, fare rinunce alla professionalità e alla carriera, per far fronte alle incombenze familiari e domestiche. Per realizzare questo obiettivo, il nostro welfare propone soluzioni che consentono alle persone di attivare anche servizi di operatori specializzati che intervengono per aiutarle nelle mansioni di cura, assistenza agli anziani, per il supporto educativo dei figli o per il supporto psicologico”.
“Faccio un esempio pratico: il genitore di un ragazzo che ha necessità di un supporto nello studio non ha più l’unica opzione di chiedere un permesso per seguirlo, può attivare una figura professionale che affiancherà lo studente per un periodo, aiutandolo ad imparare un metodo di studio o a superare uno scoglio momentaneo. In questo modo, oltre a sgravare il genitore da un’incombenza e da una preoccupazione, la difficoltà viene affrontata con l’aiuto di un professionista, che ha strumenti e competenze specifiche. Il tutto, infatti, organizzato in stretta collaborazione con realtà del territorio che se ne occupano professionalmente, e in particolare con la cooperazione sociale”, spiega.
“Rimane cruciale un punto, che ho già evidenziato ma che voglio ribadire: tutto questo è su base facoltativa, dunque sarà sempre il singolo a decidere come affrontare una situazione, se in prima persona, con gli strumenti che comunque la Cooperativa garantisce, o se attraverso un servizio dedicato. In altre parole, un welfare evoluto è quello che ti permette di scegliere”, avverte.
Ma essere donna in cooperativa è più semplice? “Partiamo dal presupposto – risponde – che nel mondo del lavoro essere donna presenta delle difficoltà che travalicano una mansione o un’attività specifica. Una lavoratrice non deve essere costretta a scegliere tra famiglia e lavoro come in un aut aut, o non deve sentirsi obbligata a sacrificare il percorso della propria carriera per curare gli affetti. Questi ambiti non sono di per sé inconciliabili, molte volte sono le condizioni a contorno o le convenzioni sociali a renderli tali”.
“Coop Alleanza 3.0 vuole rimuovere, e lo sta già facendo, ostacoli, squilibri, condizioni di difficoltà per permettere a tutte e tutti di realizzarsi, sulla base del merito, dell’impegno individuale e della propria inclinazione o visione di vita”, assicura.
“Mi rendo conto che questa è un’affermazione di principio, ma è corroborata da tante iniziative che la Cooperativa mette in atto nel concreto. Infatti, il nostro welfare aziendale è un contenitore ricco si servizi e soluzioni pensate per tante situazioni diverse e per tutte le fasi della vita dei lavoratori”, conclude.