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Cisl e smartworking: andare dall’emergenza alle nuove prospettive

Catania, 5 dicembre 2020 – Nel 2019, in Italia c’erano quasi 600mila lavoratori in smart working, nel 2020 i lavoratori da remoto nell’emergenza pandemica sono stati stimati in oltre sei milioni e mezzo (ricerca dell’Osservatorio smart working della School of management del Politecnico di Milano). Un balzo che ha coinvolto lavoro pubblico e privato, piccole e grandi aziende. A Catania, oltre tutte le amministrazioni pubbliche, persino la StMicroelectronics, la multinazionale dei semiconduttori, è ricorsa allo smart working.

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Ma dal contesto emergenziale alle possibili prospettive future, quali punti di forza e quali criticità riserva lo smart working, oggi regolato in Italia dalla legge 81/2017? La strada da percorrere passa dal necessario adeguamento legislativo e dalla contrattazione con le forze sociali; c’è un divario digitale nel Paese da superare; occorrerà investire nella formazione e nelle infrastrutture digitali; si dovrà dare ruolo ed enfasi al dialogo sociale e alla contrattazione, anche di secondo livello, per ripensare il rapporto di fiducia tra aziende e lavoratori, tra benessere fisico e psichico della persona e un nuovo concetto di produttività.

Tutto ciò è emerso dai contributi che sono arrivati dal webinar organizzato sul tema dalla Cisl di Catania. Chiamati dal segretario generale Maurizio Attanasio, a discuterne sono stati la sottosegretaria al Lavoro, Francesca Puglisi, catanese per parte di padre; Tiziano Treu, presidente del Cnel e già ministro del Lavoro nei governi Dini e Prodi; Maria Sandra Petrotta, direttrice dell’Inps Sicilia; Giuseppe Vecchio, direttore Dipartimento Scienze Politiche e Sociali UNICT; Gaetana D’Agostino, presidente dell’Ordine degli Psicologi di Sicilia; Margherita Ferro, consigliera di Parità della Regione Siciliana.

Per la Cisl sono intervenuti, oltre ad Attanasio, che ha aperto i lavori con una ampia relazione, il segretario generale regionale Sebastiano Cappuccio, e il segretario nazionale confederale Ignazio Ganga al quale sono state affidate le conclusioni.

«Lo stato di necessità e di incertezza indotto dalla prima fare pandemica – ha esordito Attanasio – ha reso necessario derogare da quanto previsto già dalla legge 81/2017, in termini di lavoro a distanza, per avviare una vera sperimentazione di massa che non sempre ha prodotto risultati positivi. Spesso si è trattato di una imposizione, dovuta alla necessità del distanziamento tra i lavoratori, sia nel pubblico che nel privato. Cioè più lavoro da casa che vero e proprio smart working, cancellando persino diritto contrattuali ed economici di migliaia di lavoratori».

Ma ora bisogna guardare oltre, a un nuovo modello organizzativo, hanno concordato i relatori. Un modello che dovrà prevedere anche innovate e rinnovate relazioni industriali, tenere conto della sostenibilità sociale e ambientale, dell’inclusione, di nuove tutele per i lavoratori e di una nuova concezione della produttività legata più ai risultati.

Riguardo dovrà essere riservato alla conciliazione tra tempi di vita e lavoro, occorre rafforzare il ruolo dei Comitati Unici di Garanzia nella pubblica amministrazione per garantire il lavoro femminile e ridurre fattori di rischio come il burnout o lo stress lavoro correlato. Infine, l’esperienza del cattivo funzionamento delle reti in aree importanti della Sicilia e della provincia di Catania interroga su come occorre subito investire nelle infrastrutture digitali, anche attingendo alle risorse del recovery fund.

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