I nati il 28 ottobre credono nella necessità della preparazione preventiva. Prima di parlare di un determinato argomento e di investire tempo, denaro ed energie in un lavoro o in un affare di solito si sforzano di capire tutto ciò che gli sta attorno ma anche dopo una volta partiti non smettono di compiere le loro ricerche. Imparare la lezione, che già sanno di sapere, perché comunque odiano essere impreparati. Per evitare di diventare nevrotici e angosciati devono imparare ad accettare l’ironia e le piccole fobie, quindi attività teatrali, compreso scrivere, costruire scenografie, fare regie e possedere un teatro gli permetteranno di vivere una vita felice e piena di soddisfazione. Per sé stessi e per chi gli è amico, familiare e partner. Uno dei temi ricorrenti della loro vita è quello di dover rivelare la verità. Rischiano perciò di diventare taglienti sarcastici e (im)popolari.
Altra capacità inverosimile di Valerio è la trasformazione fisica e caratteriale: giovane, vecchio, bello, brutto, aristocratico e popolano l’umanità da impersonare per lui non ha né segreti né risvolti perché lui li sonda tutti con la sua “inesorabile” preparazione e immedesimazione. Sembra un attore che ha attraversato i secoli, le dimensioni dei mutaforma come direbbero gli amanti dei film startrekkiana memoria. E come direbbe Shakespeare con i suoi viaggiatori spaziotempo, è sempre presente lì a darci qualche ravvedimento e raccomandazione.
Chi è Valerio Santi? Quando e come hai iniziato?
Il mio primo approccio con il teatro risale all’età di nove anni, fu una parentesi piacevole che durò alcuni mesi e che poi si chiuse portandomi ad altri interessi. All’età di sedici anni circa, per puro caso mi riaccostai al teatro prendendo parte ad alcuni spettacoli organizzati da compagnie amatoriali locali e contemporaneamente iniziai a sviluppare il mio interesse per la scrittura teatrale. In verità ho sempre amato scrivere, difatti l’unica cosa che a scuola facevo con piacere era scrivere i temi, ma per il resto, non mi ero mai applicato più di tanto.
In un primo momento iniziai a scrivere poesie in dialetto, poco dopo mi ritrovai invece impegnato nella scrittura della mia prima commedia ‘U fujiri è virgogna ma è salvamentu ‘i vita. A novembre del 2006 tale commedia debuttò al Teatro Metropolitan di Catania riscuotendo un successo clamoroso e mentre la stampa mi definì (esageratamente) il Martoglio degli anni 2000, la maggior parte dei “teatranti” catanesi (tutti presenti al debutto) non prese benissimo il mio ingresso nell’ambiente teatrale; molti iniziarono a spargere la voce che non fossi io il vero autore della commedia, ci fu addirittura un genio che mi propose di scrivere per lui e la sua compagnia gratuitamente e per non “bruciarmi” data la giovane età, sarebbe dovuto comparire lui come autore, sembrano barzellette vero?
Ovviamente rifiutai all’istante, ero giovane certo, ma non cretino! Questo stesso signore tra l’altro, ebbe anche la faccia tosta il giorno del debutto del mio spettacolo, di sedersi al botteghino del Teatro Metropolitan – visto che svolgeva la sua rassegna in quel teatro – e di pubblicizzarlo come proprio, accaparrandosi un quantitativo di abbonati non indifferente; ovviamente venni a saperlo molto dopo. Insomma l’accoglienza ricevuta non fu per niente delle migliori, difatti quando l’anno successivo replicammo alle Ciminiere di Catania in una rassegna organizzata dalla provincia, improvvisamente tutti gli articoli di presentazione che uscirono su La Sicilia e in altri giornali locali per tutto il periodo della rassegna, presentavano dei “casuali” errori ma solo sul mio spettacolo.
Il mio nome e cognome fu cambiato in tutti i modi possibili e immaginabili, conservo ancora gli articoli con scritto: “Alle Ciminiere la commedia di Santo Valeri”, “Valenti e la sua commedia in vernacolo”, questa poi è la più bella: “’U fujiri è virgogna ma è salvamentu ‘i vita di Francesca Sabato Agnetta” e mi fermo qui.
Dopo circa un anno, per puro caso venni a sapere che al Teatro Stabile di Catania erano in corso le selezioni per accedere ai provini di ammissione alla Scuola d’arte drammatica Umberto Spadaro e così, senza alcuna convinzione mandai la mia candidatura per l’ammissione ai provini; da lì a qualche mese, mi ritrovai seduto in classe.
Inizialmente fu tutto molto strano, il teatro mi piaceva certo, ma ero abituato a considerarlo come passatempo, non avevo certo idea che più avanti avrei scelto di farlo per la vita. Nello stesso tempo, sia a me che al mio Maestro di scenografia Carmelo Miano venne l’idea di fondare un nuovo teatro, volevamo creare uno spazio diverso, dove il pubblico stesse in mezzo alla scena, abbattendo qualsiasi elemento e distanza che lo separasse da chi recita; contemporaneamente, si pensò a qualcosa che richiamasse l’ambientazione di quel mio primo e fortunato spettacolo, così nacque il Teatro L’Istrione.
Durante i tre anni di formazione alla scuola dello Stabile, iniziai a studiare a parte scenografia, fonica, illuminotecnica e scenotecnica, elargendo le mie conoscenze a 360° gradi, inoltre mi occupavo anche della gestione del Teatro affiancato dal mio Maestro che ne prese in quegli anni la direzione artistica. Ovviamente se con la messa in scena di uno spettacolo ottenni ciò che ho raccontato prima, puoi solo immaginare cosa accadde quando aprì dal nulla un Teatro; esposti ai vigili del fuoco per mancata agibilità – cosa che invece avevo regolarmente, controlli di vario genere, una volta trovai perfino fuori da Teatro a fine spettacolo, uno dei “capicomici” dell’hinterland che distribuiva tranquillamente le brochure della propria stagione al pubblico invitandolo di venire al Teatro X piuttosto che lì, poiché la loro stagione era migliore. Naturalmente non racconto queste cose per vittimizzarmi e passare per povero martire, lo racconto perché fa parte di quello che ho vissuto e non vedo perché dovrei ometterlo, inoltre sono una persona senza peli sulla lingua e quando devo parlare, parlo senza mezze misure.
Andando avanti col mio percorso, finita la scuola ho preso la direzione artistica del Teatro e fondato la compagnia di professionisti che oggi tutti conoscono.
Durante la mia ancora breve ma intensa carriera, avendo la fortuna di poter decidere quali spettacoli mettere in scena e di conseguenza quali personaggi interpretare, mi ritrovo a trent’anni con un bagaglio di esperienze non comune in altri coetanei; naturalmente alla base di una professione ci sono tanti fattori complementari e nella professione dell’attore, lo studio sta sicuramente al primo posto.
Per fare questo mestiere non bastano i tre, quattro anni di formazione in una scuola professionale, la scuola serve a dare delle basi, la disciplina, dei metodi, delle tecniche, ma oltre quello vi è poi uno studio costante che va mantenuto per il resto della vita; un attore o attrice che smette di studiare nel giro di poco regredisce e nel migliore dei casi diventa un ripetitore di parole vuote.La stessa cosa vale comunque per l’essere umano in genere, bisogna sempre tenere attiva la mente e avere sete di conoscenza, documentarsi, leggere, guardare, sapere, altrimenti si inaridisce proprio come delle piante quando non vengono annaffiate.
I tuoi lavori principali?
Ti dico che sono tanti gli spettacoli che per me sono stati importanti sia da attore che da regista. Indubbiamente do un grande valore a Il cilindro di Eduardo De Filippo poiché fu il primo spettacolo fatto dopo la scuola, la prima regia che potesse chiamarsi tale insieme a Francesco Russo e per tanti altri motivi, diciamo che quello spettacolo fu il primo di tante cose.
Altro spettacolo importantissimo per me fu Il dovere del medico di Pirandello, spettacolo in cui individuai la mia identità registica, e poi ancora L’uomo di casa che fu il mio quarto spettacolo da autore, Gennareniello sempre di Eduardo De Filippo, Don Chisciotte e Sancio Panza scritto e diretto da Francesco Russo, spettacolo che resterà un nostro cavallo di battaglia fino a quando ci reggeranno le ginocchia, così come Copenaghen di Michael Frayn, uno spettacolo che ho amato dal primo giorno in cui lo vidi e che portai in scena la scorsa stagione ottenendo l’autorizzazione a metterlo in scena da Umberto Orsini che proprio quell’anno lo aveva rimesso in produzione e pertanto ne deteneva l’esclusiva per due anni. Ecco, Copenaghen ad esempio, mi piacerebbe che potesse diventare un altro cavallo di battaglia da riprendere nel tempo e portare in giro.
Naturalmente ci sono dei lavori che ti segnano di più rispetto ad altri per varie ragioni, ma in ogni caso tutti gli spettacoli o quantomeno un buon 90% degli spettacoli che ho fatto sono stati importanti per la mia crescita, e non parlo solo di spettacoli prodotti da me, ma in generale. Negli anni ho avuto modo di lavorare in spettacoli importanti con tanti colleghi come Vincenzo Pirrotta, Tuccio Musumeci, Manlio Dovì, Mimmo Mignemi – con cui lavoreremo insieme nel mio Misura Per Misura, Carlotta Proietti e Leo Gullotta con cui attualmente sono in tournée da diversi mesi con Pensaci Giacomino di Pirandello, per la regia di Fabio Grossi.
Questo ad esempio, è sicuramente uno spettacolo che mi sta dando tanto sia a livello umano che a livello artistico; condivido giornalmente il palco con dei compagni di lavoro straordinari, attori e tecnici, per non parlare di Leo che oltre ad essere un grande Maestro (espressione che non ama e a cui risponde << ‘i maestri su’ a’ scola!>>) è anche un amico come pochi. Una persona di grande animo, che conserva la sua genuinità e la sua umiltà, che sa ascoltare, scherzare e giocare restando ben ancorato al pavimento, a differenza di molti che costantemente portano sotto i piedi quel metro e cinquanta che solleva il palcoscenico dalla platea. Artisticamente poi non c’è che dire, è sempre attento che tutto funzioni alla perfezione, controlla la scena, i costumi di ognuno, nei primi giorni veniva perfino in camerino a farmi i capelli per farmi capire come andavano fatti, e poi è sempre pronto a darti il consiglio, il suggerimento, si mette continuamente a completa disposizione dei compagni; così come Fabio, persona meravigliosa con cui è impossibile non trovarsi sia artisticamente che umanamente, nonché regista eccezionale, che fin da subito ha un idea chiarissima di tutto quello che è il prodotto finito e sa egregiamente condurre l’attore nella costruzione di un personaggio fino al punto di arrivo che sistematicamente è identico a quello che aveva immaginato.
La tua missione? C’è un file rouge?
Il Teatro oltre ad essere una delle forme d’arte più completa in assoluto, non bisogna dimenticare che è un mezzo di comunicazione. Negli ultimi anni la politica ha tagliato e continua a tagliare fondi all’istruzione e alla cultura cercando di abbassare il livello culturale di un paese per renderlo quanto più ignorante e di conseguenza facilmente governabile perché al giorno d’oggi, chi pensa, chi ragiona, dà fastidio. Il Teatro, a differenza della televisione sempre più invasa da programmi deplorevoli, è l’unico mezzo capace di risvegliare le coscienze; non è vero che il pubblico vuole solo ridere, il pubblico vuole emozionarsi, provare dei sentimenti, vuole pensare. La mia missione – se così si può chiamare – non è altro che quella di fare del buon Teatro, dove ogni cosa sia motivata, nulla sia lasciato al caso e tutto sia fatto con criterio e rispetto, nella speranza di trasmettere qualcosa a chi lo guarda e stimolargli il pensiero, a prescindere dal fatto che uno spettacolo possa essere bello o brutto.
Che cos’è il teatro?
Senza volerlo, ho già risposto a questa domanda in quella precedente, ma in aggiunta rispondo citando Eduardo De Filippo: <<In Teatro si vive sul serio quello che gli altri, nella vita, recitano male.>>
Il tuo prossimo lavoro?
Il mio prossimo lavoro sarà Misura per misura di Shakespeare, una sfida molto interessante sia dal punto di vista attoriale che dal punto di vista registico visto che è la prima volta che dirigo uno Shakespeare. In scena oltre me ci saranno tanti compagni di avventure straordinari, da Mimmo Mignemi come ti dicevo prima, a Filippo Brazzaventre, Giovanna Mangiù, Francesco Russo, Cindy Cardillo, Daniele Sapio e tanti altri bravissimi colleghi.
Per concludere, ti ringrazio per questa bell’intervista ed auguro a te, alla redazione e a tutti i lettori tante cose belle!
E per concludere le conclusioni, di Valerio Santi nato il 28 ottobre, inserisco il pensiero che riguarda i complicati e meravigliosi esseri umani nati in tale data: capire quando occorre mollare e lasciare che gli avvenimenti seguano il loro corso è davvero un’arte che si apprende con la pratica. E lui nonostante gli avvenimenti/impedimenti determinati dalla “casta” attoriale di infame indecenza generazionale ce ne ha data ampia dimostrazione. Ed è ancora soltanto agli inizi. Il teatro, il vero teatro, come la vera coscienza ha i suoi ideali adepti e le sue funzioni transgenerazionali. E sempre li avrà!!! Alleluia brava gente, alleluia!!!