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Palermo: progetto Ortis, panchine per le donne dipinte da Issa

Issa oggi è stato accolto, insieme ad altre persone detenute, nel cohousing sociale gestito dall'associazione Un Nuovo Giorno con il progetto Ortis 2.0

“… Ma da queste profonde ferite usciranno farfalle libere…”. E’ il messaggio scritto nella panchina rossa dipinta da Issa insieme ai giovani della scuola Marco Polo. Il giovane, di 34 anni, originario del Mali, dopo 7 anni di detenzione nel carcere Pagliarelli, oggi è stato accolto, insieme ad altre persone detenute, nel cohousing sociale gestito dall’associazione Un Nuovo Giorno con il progetto Ortis 2.0 finanziato da Cassa delle Ammende insieme all’assessorato regionale della Famiglia e delle Politiche Sociali. Issa Traore per il suo sorriso e il fisico alto e muscoloso è chiamato il gigante buono. Ogni cosa della sua vita, infatti, il giovane l’ha guadagnata, passo per passo, con la sua buona condotta.

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Mentre era dentro il carcere Pagliarelli la direzione carceraria, proprio per la sua sensibilità, lo ha nominato “peer supporter” per i detenuti più fragili dell’area dedicata alla salute mentale.

Adesso hai una nuova vita? “Sono in housing dallo scorso 16 gennaio dove completerò la parte conclusiva della mia pena – ha raccontato Issa -. La mia vita è cambiata moltissimo perchè ho fatto laboratori di teatro e falegnameria, attività sportive e partecipato ad alcune iniziative sociali. In questi giorni, con i giovani della scuola, abbiamo dipinto le panchine dedicate alle donne. Grazie agli operatori del progetto Ortis – che mi hanno aiutato a fare i documenti (residenza e codice fiscale) – oggi ho la carta d’identità. Ho pure iniziato il tirocinio socio-lavorativo come cameriere dentro ‘Al Fresco giardino bistrot’. Sarà bellissimo se, in futuro, riusciranno a farmi incontrare mia figlia Tenè di 13 anni che vive a Parigi”.

 

 

Dentro il carcere ti sei distinto per come hai saputo aiutare chi soffriva? “Ho sbagliato in passato ma, grazie a chi mi ha dato fiducia, ho aiutato le persone che avevano problemi psichiatrici in carcere. Ho provato tenerezza nei confronti di questi miei fratelli che stavano molto male e soffrivano. Mi hanno dato la possibilità, come peer supporter, di parlare con loro, calmarli e permettere loro di fare, accompagnati da me, l’ora d’aria ed i colloqui con i familiari. Ho ricevuto pure un encomio perchè, una volta, insieme alla polizia, sono riuscito a fermare l’aggressione a un detenuto da parte di uno psichiatrico grave.

 

 

Cosa speri per il futuro? “Fin da piccolo, già quando ero in Africa, ho scoperto l’amore per gli altri, iniziando con l’assistenza a mia madre che era molto malata -. Oggi, il mio desiderio più grande è quello di continuare a dedicarmi agli altri anche quando sarò uscito fuori. Mi piacerebbe, per esempio, diventare un assistente Osa nei centri per persone più fragili. Mio padre che è rimasto in Africa è molto contento di tutto quello che ho fatto fino a questo momento”.

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