Palermo, 8 gen. – L’appuntamento è per le 9.30 di domani all’aula bunker del carcere Ucciardone di Palermo, lo stesso in cui il10 febbraio 1986 iniziava il primo maxiprocesso alle cosche mafiose palermitane che portò, per la prima volta, alla condanna di centinaia di boss e ‘picciotti’ per associazione mafiosa. Si terrà qui, in un’aula blindata e vietata ai giornalisti, la prima udienza preliminare del procedimento a carico dell’ex vicepremier Matteo Salvini, accusato di sequestro plurimo di persona aggravato e omissione di atti d’ufficio, per aver impedito lo sbarco di 107 migranti bloccati al largo di Lampedusa nell’agosto 2019 e che erano a bordo della nave della ong spagnola Open Arms. Un altro procedimento, dopo quello di Catania che vede imputato sempre Salvini con le stesse accuse per non avere permesso lo sbarco ad altri migranti che si trovavano a bordo della nave Diciotti. Domani sarà il giudice per le udienze preliminari di Palermo Lorenzo Jannelli a decidere se disporre il processo a carico del leader della Lega, che sarà a quel punto giudicato dall’autorità giudiziaria ordinaria, o il suo proscioglimento. L’ong spagnola ha fatto già sapere che chiederà di essere parte civile al processo. In particolare, ciqneu migranti si costituiranno parte civile nel procedimento. L’istanza sarà depositata domani mattina durante la prima udienza dall’avvocato della Fondazione, Arturo Salerni che annuncia: “C’è stato un ostacolo alla missione di Open Arms”. Ma cosa era accaduto in quei caldissimi giorni dell’estate 2019? Era il primo agosto di due anni fa quando la Open Arms prestò il primo soccorso, allargo della Libia, subito seguito da un secondo intervento. In tutto furono salvate 124 persone. Il giorno dopo la Ong spagnola chiese un porto di sbarco all’Italia, ma proprio quello stesso giorno venne applicato alla nave il decreto sicurezza bis e il divieto di entrare in acque italiane. Dopo il trasferimento per motivi medici di due persone e di un loro familiare, a bordo rimasero 121 persone: tra loro32 minori, di cui 28 non accompagnati. Trascorsero alcuni giorni e il 9 agosto i legali di Open Arms, che nel frattempo avevano depositato un ricorso presso il tribunale per i minori di Palermo in cui si chiedeva di fare sbarcare i più piccoli, presentarono una denuncia per verificare se con il blocco delle persone a bordo non si stia compiendo un reato.
Il giorno successivo, cioè il 10 agosto, la nave fece un altro soccorso. Questa volta vennero salvate altre 39 persone, e altre ancora vennero trasferite per motivi di salute. Il 12 agosto intervenne il tribunale dei minori di Palermo. Il giorno successivo i legali di Open Arms presentarono un ricorso al tribunale amministrativo del Lazio contro il decreto sicurezza bis. E il 14 agosto arrivò la decisione del Tar del Lazio che sospese il divieto di ingresso nelle acque territoriali italiane, accogliendo così il ricorso presentato dall’Ong spagnola. Nonostante ciò, però, la Open Arms non aveva ottenuto un porto di sbarco. Due giorni dopo, il 16 agosto, la ong presentò un ulteriore esposto alla procura di Agrigento per omissione di atti d’ufficio e altri reati. Ma nel frattempo sulla nave la situazione diventò incandescente e decine di migranti si gettarono in acqua per la disperazione. Due soli bagni alla turca, giacigli sul ponte per 164 migranti salvati in zona Sar libica e costretti in “condizioni estreme”, follia e disperazione tanto da arrivare a gettarsi in mare nel tentativo di raggiungere la terraferma. Il 20 agosto era stato il Procuratore di Agrigento Luigi Patronaggio in persona a salire a bordo della nave, accompagnato da psicologi e medici. Trascorsero alcune ore e il magistrato decise di disporre lo sbarco e il sequestro preventivo d’urgenza della nave, ipotizzando il reato di abuso d’ufficio. Soltanto quel giorno le 83 persone rimaste a bordo riuscirono a toccare terra. “L’autorità pubblica aveva consapevolezza della situazione d’urgenza e il dovere di porvi fine ordinando lo sbarco delle persone”, scrisse il procuratore di Agrigento quando decise di intervenire ordinando il sequestro della nave e lo sbarco dei migranti. Quell’autorità pubblica era Matteo Salvini. Due mesi dopo, nel novembre del 2019 venne iscritto nel registro degli indagati un nome: Matteo Salvini, che nel frattempo non era più ministro dell’Interno. L’accusa è pesante: sequestro di persona aggravato e omissione d’atti d’ufficio. Nel febbraio 2020 il tribunale dei ministri chiese al Senato l’autorizzazione a procedere. A maggio la Giunta per le immunità la respinse mentre l’Aula la approvò. E domani si va in aula. Ancora una volta, dopo Catania. Anche a Palermo.
Secondo il Tribunale dei ministri, Matteo Salvini avrebbe agito in autonomia, in contrasto con il presidente del consiglio Giuseppe Conte, ”sin da quando, apprendendo dell’intervento di soccorso posto in essere in zona Sar libica dalla Open Arms, coerentemente con la politica inaugurata all’inizio del 2019, adottava nei confronti di Open Arms, d’intesa con i ministri della difesa e delle infrastrutture e dei trasporti, il decreto interdittivo dell’ingresso o del transito in acque territoriali italiane, qualificando l’evento come episodio di immigrazione clandestina, a dispetto del riferimento alla situazione di difficoltà del natante su cui i soggetti recuperati stavano viaggiando”. I giudici allegarono anche alla richiesta di autorizzazione un carteggio tra Conte e Salvini, mostrando che il presidente del consiglio ”il 16 agosto rispondeva a una missiva del ministro Salvini, ribadendo con forza la necessità di autorizzare lo sbarco immediato dei minori presenti a bordo della Open Arms, anche alla luce della presenza della nave al limite delle acque territoriali (in effetti vi aveva già fatto ingresso) e potendo, dunque, configurare l’eventuale rifiuto un’ipotesi di illegittimo respingimento aggiungeva di aver già ricevuto conferma dalla Commissione europea della disponibilità di una pluralità di stati a condividere gli oneri dell’ospitalità dei migranti della Open Arms, indipendentemente dalla loro età. Invitava, dunque, il ministro dell’Interno ad attivare le procedure, già attuate in altri casi consimili, finalizzate a rendere operativa la redistribuzione”. Secondo la nave ong Open Arms “il blocco era contrario al diritto internazo nel del mare” e domani l’avvocato Salerni lo ribadirà in aula al bunker di Palermo.
Intanto l’ex ministro Salvini, arrivato a Palermo 24 ore prima del processo, per rendere omaggio al giudice Paolo Borsellino e incontrare i deputati leghisti all’Ars, nei giorni scorsi aveva scritto sui social: ”Per l’accusa di sequestro di persona sono previsti fino a 15 anni di carcere: sapete perché? Perché la nave spagnola Open Arms si rifiutò di andare in Spagna, nonostante il governo spagnolo offrì due porti. A processo vado io e ci vado tranquillo e sereno e orgoglioso di aver difeso i confini italiani, lascio giudicare al giudice ma non ritengo di aver sequestrato nessuno”. Domani saranno presenti al bunker il Procuratore capo Francesco Lo Voi, l’aggiunto Marzia Sabella e il pm Geri Ferrara che ha coordinato l’inchiesta. Nelle carte della Procura di Palermo c’è molto materiale probatorio a carico del leader leghista: dall’esito dell’ispezione sanitaria guidata dal Procuratore Luigi Patronaggio che testimonia “l’omissione di quegli atti d’ufficio che il Viminale avrebbe dovuto adottare”, al decreto cautelare d’urgenza del presidente di sezione del Tar del Lazio Leonardo Pasanisi che, alla vigilia di ferragosto, accolse il ricorso della Ong spagnola annullando il provvedimento di divieto di ingresso in acque territoriali italiane firmato da Salvini e dai ministri Toninelli e Trenta in applicazione del decreto sicurezza-bis. C’è poi la mail con la quale il comando della Guardia costiera comunica al Viminale il suo “nullaosta allo sbarco”. Domani Matteo Salvini sarà al bunker insieme con la sua legale di fiducia, l’avvocato Giulia Bongiorno.
(Adnkronos)