La sera del 5 gennaio 1984 Giuseppe Fava aveva deciso di andare a prendere la sua nipotina al Teatro Stabile di Catania, dove la bambina recitava. Era rientrato a Catania da pochissimi anni, e il suo rientro era stato un grande gesto d’amore nei confronti della città etnea. Esisteva un solo quotidiano cittadino che faceva il bello e il cattivo tempo della città, in modo vergognosamente interessato, attento più che ai colori politici ai grandi affari; un quotidiano affaristico di cui recentemente un esponente ha dichiarato in modo sfacciato che “il quotidiano La Sicilia negli anni ’80/’ 90 non aveva percezione dell’esistenza della mafia in città”. Falsando ancora una volta la verità.
Pippo Fava, che del giornalismo aveva un concetto etico, diede una spallata a quel modo di fare “informazione” basata su false notizie, o peggio non notizie, una pseudo informazione che teneva la città soggiogata; notizie che rappresentavano una città felice inesistente, ma affascinante.
Fava tolse il coperchio alla pentola e ne traboccò qualcosa di puzzolente, disturbando così manovratori e cavalieri vari… I benpensanti, difensori della città, dissero che era uno schifo infangare così Catania e i catanesi, ma tanta gente onesta, attonita, di fronte a quella nuova realtà lo seguì.
Quella sera del 5 gennaio 1984 nei pressi del Teatro Stabile, Fava non fece in tempo nemmeno a scendere dalla sua macchina: 5 pallottole calibro 7,65 lo colpirono alla nuca e lo uccisero.