Sarà un’edizione di Turandot davvero speciale quella che inaugurerà la nuova Stagione di Opere e Balletti del Teatro Massimo Bellini di Catania. Un autentico evento che celebra il primo centenario della morte di Giacomo Puccini, proponendone a ragione il capolavoro postumo, allestito in una sontuosa produzione che schiera un cast stellare e prevede il finale alternativo di Luciano Berio, prima d’ora mai eseguito nel tempio etneo della musica. Ed è già sold out per le sette rappresentazioni in calendario dal 12 al 20 gennaio, traguardo che si pone in continuità con il reiterato successo di pubblico e di critica che nell’ultimo quadriennio ha premiato l’attività artistica dell’ente, guidato dal sovrintendente Giovanni Cultrera di Montesano.
Questi i punti salienti emersi nel corso della presentazione tenutasi stamattina nel foyer, alla presenza di una folta rappresentanza della stampa e degli appassionati. Di particolare rilievo il messaggio di Elvira Amata, assessore del Turismo, Sport e Spettacolo della Regione Siciliana, che ha sottolineato la qualità dei programmi del Teatro Massimo Bellini e la caratura che riveste nel panorama culturale. Ad illustrare in generale i traguardi raggiunti e i progetti futuri è si è soffermato in apertura e chiusura il sovrintendente Cultrera, al tavolo dei relatori insieme con il direttore artistico Fabrizio Maria Carminati, il direttore d’orchestra Eckehard Stier, il regista Alfonso Signorini, il direttore amministrativo Salvatore Vicari, che hanno dato vita ad interessanti interventi, coordinati dalla giornalista Caterina RitaAndò, responsabile della comunicazione del Bellini. Erano inoltre presenti nei posti d’onore il Grand’Ufficiale Luigi Albino Lucifora e i membri della folta, qualificata compagnia internazionale.
Sul podio ritorna dunque il maestro tedesco Eckehard Stier, autorevole direttore ospite principale; la prestigiosa messinscena è firmata da Alfonso Signorini. Il dramma lirico in tre atti di Giuseppe Adami e Renato Simoni rivivrà nello spettacolare allestimento che vede insieme il Festival Pucciniano di Torre del Lago e il Teatro Nazionale Georgiano di Tbilisi, con le scene di Carla Tolomeo e i costumi di Fausto Puglisi, le une e gli altri ripresi da Leila Fteita.
Nel cast vocale i soprani Daniela Schillaci e Anastasia Boldyreva si alterneranno nel title role; i tenori Angelo Villari e Marco Berti in quello del principe ignoto Calaf; i soprani Elisa Balbo e Cristina Arsenova nelle vesti di Liù; i bassi George Andguladze e Gianfranco Montedoro in quelle di Timur. Il tenore Vincenzo Taormina, il baritono Salvatore Pugliese e il basso Blagoj Nacoski saranno rispettivamente i dignitari imperiali Ping, Pang e Pong. Completano la compagnia il tenore Mario Bolognesi nelle vesti dell’imperatore Altoum e il basso Tiziano Rosati un quelli di un mandarino.
In primo piano ancora una volta le pluripremiate formazioni artistiche dell’ente lirico etneo, ovvero l’Orchestra e il Coro, quest’ultimo sapientemente preparato da Luigi Petrozziello e affiancato per l’occasione dal Coro interscolastico di voci bianche Vincenzo Bellini, istruito da Daniela Giambra.
Approfondimento: la genesi di Turandot e il completamento postumo del terzo atto
Il libretto, firmato a quattro mani dai poeti Giuseppe Adami e Renato Simoni, ha come fonte letteraria la tragicommedia Turandotte, che rientra tra le dieci «fiabe drammatiche» del conte Carlo Gozzi, rappresentate a Venezia tra il 1761 e il 1765, segno della dichiarata polemica che opponeva il nobile ‘reazionario’ al concittadino Carlo Goldoni, avvocato di estrazione borghese. Alla visione realistica e illuminista di quest’ultimo, Gozzi contrappone l’universo fiabesco, irreale e simbolico, in uno con quello audace della commedia dell’arte.
Oltre due secoli e mezzo dopo vedrà la luce la partitura che terrà impegnato sor Giacomo e i suoi librettisti fin dalla primavera del 1920: una dura fatica di ben quattro anni che consentì a Puccini di portare l’opera quasi a termine, ma non completamente. Lo attraeva e turbava quella vicenda, ambientata «A Pekino al tempo delle favole»; era una sfida dare voce al coraggio ma anche all’ossessione del principe Calaf, esiliato e in incognito, accesso d’improvviso amore per la divina bellezza della principessa Turandot. Né egli teme di finire sotto la mannaia del boia che ha colpito i nobili pretendenti, incapaci di risolvere i tre enigmi a cui Turandot li ha sottoposti per vendicare l’abuso millenario subito dalla sua antenata. Ma Calaf ha tutte le risposte: sangue, speranza e soprattutto ancora e sempre Turandot. Ha vinto e tuttavia rilancia di fronte alla riluttanza della donna, dichiarandosi nuovamente pronto a morire se lei saprà scoprirne il nome.
Ma al posto del principe ignoto sacrifica se stessa la schiava Liù, che si è presa cura del re Timur, il vecchio padre di Calaf. Ed è per amore di quest’ultimo che la schiava si toglie la vita pur di non rivelarne l’identità.
Nel dicembre del 1923 Puccini è fermo a questa scena. Nel novembre 1924 la malattia mortale spegne il musicista, ormai fermo da un anno su quelle note. Non c’è tempo e soprattutto non c’è più spazio, nell’universo creativo del compositore, per ricucire lo strappo e trasformare la principessa di gelo in una donna innamorata.
L’opera debutta postuma il 25 aprile 1926. Sul podio della prima Arturo Toscanini depone la bacchetta proprio a conclusione della morte di Liù, rivolgendosi al pubblico con la celeberrima giustificazione: «Qui il Maestro è morto». Nelle recite seguenti gli subentrò il direttore Ettore Panizza e venne eseguito il completamento del terzo atto approntato dal compositore Franco Alfano sugli appunti pucciniani.
Si dovrà attendere il 2001 per ascoltare un nuovo finale di Turandot, commissionato dal Festival de Música de Canarias a Luciano Berio, che parte anch’egli dagli abbozzi lasciati da Puccini. Questo materiale ha il suo punto più controverso nell’episodio del bacio, abbozzato in un solo foglio, stando alla ricostruzione di Powers e Ashbrook. È basandosi su questa pagina che Berio costruisce un ampio episodio sinfonico, mentre l’ispirazione di Alfano si era contenuta in sedici nuove battute, ulteriormente ridotte a un solo accordo seguito da pochi colpi di timpano nella versione definitiva.
Ma Turandot è veramente la grande incompiuta di Puccini, o è dotata di una prodigiosa coerenza interna, come dimostrano le diverse edizioni che seguono l’esempio di Toscanini o adottano le altre opzioni?
L’importante, come dimostra l’odierna edizione catanese, è percorrere con curiosità le varie strade che la genesi dell’opera suggerisce, fino ad esplorare gli interventi successivi . E lasciarsi rapire dalla stupefacente architettura della partitura.
Affascinato e in ossequio all’esotismo in voga, Puccini studiò autentiche melodie cinesi e utilizzò temi dal carillon dell’amico barone Fassini. Il compositore crea nuove soluzioni timbriche, sospese tra vigore e ricercatezza, rimpolpando le percussioni con inserimento di idiofoni, quali la celesta, lo xilofono, le campane tubolari e finanche il glockenspiel. Di inedita preponderanza sono anche le scene corali in cui emerge la sottomissione del popolo alla follia del potere, che non riesce a risanare le proprie ferite. Ad alleggerire la tesa atmosfera di morte arrivano nei momenti cruciali i tre ministri imperiali Ping, Pong e Pang, ormai disincantati fino al cinismo, ma in grado di inquadrare con razionalità che il rischio della catastrofe è tutto nel rapporto conflittuale e tossico che Turandot ha instaurato nei confronti del genere maschile. Una coazione a ripetere, la sua, mirata a punire un’inesauribile peccato. La sua furia disumana cesserà quando sarà finalmente in grado capire che la violenza non si ripara con altra violenza, ma si purifica nell’esplosione ancora più deflagrante dell’Amore.
Gli altri titoli della stagione di opere e balletti 2024, la campagna abbonamenti e lo sbigliettamento per i singoli spettacoli
Durante la programmazione di Turandot sarà ancora possibile sottoscrivere nuovi abbonamenti all’intera Stagione di opere e balletti, fino alla data corrispondente al turno prescelto. Al tempo stesso già dal 5 gennaio è possibile acquistare i biglietti per i singoli spettacoli di tutti i titoli.
Il cartellone ne conta in tutto sette, 5 di lirica e 2 di danza, aperti proprio da Turandot per snodarsi in sequenza lungo l’intero anno solare. Di particolare rilievo l’omaggio alla letteratura siciliana con un dittico di melodrammi posti entrambi in musica da Marco Tutino, tra i maggiori compositori in attività: a lui il Teatro Massimo Bellini ha commissionato la novità assoluta Il berretto a sonagli, tratta dalla commedia di Luigi Pirandello, su libretto dello stesso Tutino, che sarà abbinata all’atto unico La Lupa, ispirata alla novella di Giovanni Verga e rappresentata per la prima volta nel 1990 su libretto di Giuseppe Di Leva. Dirige Fabrizio Maria Carminati, bacchetta di chiara fama e direttore artistico del Bellini, per la regia visionaria e raffinata di Davide Livermore. La scenografia è di Livermore&Cucco, i costumi di Mariana Fracasso. Nel cast Nino Surguladze / Laura Verrecchia (la Lupa e la Signora Assunta La Bella), Irina Lungu / Valentina Bilancione (Mara e la Signora Beatrice), Alberto Gazale (Ciampa), Sergio Escobar (Fifi La Bella) per evento che ha già suscitato vivo l’interesse nel mondo musicale (dal 1 al 9 marzo).
Torna dopo diverse stagioni Lucia di Lammermoor. Nel cast vocale Maria Grazia Schiavo / Irina Dubrovskaya (nel ruolo dell’infelice eroina), Christian Federici / Abdoulla Evez (Enrico Asthon), Francesco Demuro / Giulio Pellagra (Sir Edgardo). Stefano Ranzani dirige la partitura donizettiana e Giandomenico Vaccari cura la regia; scene, costumi e proiezioni di Alfredo Troisi. L’allestimento è una coproduzione del Teatro Giuseppe Verdi di Salerno (dal 19 al 27 aprile).
Il Bellini ripropone il proprio allestimento del Rigoletto verdiano con la regia di Leo Nucci, Jordi Bernàcer direttore e Amartuvshin Enkhbat / Marco Caria nei panni del gobbo, Elkeleda Kamani / Alina Tkachuk / Federica Foresta (Gilda). Scene di Carlo Centolavigna e costumi di Artemio Cabassi (dal 29 ottobre al 6 novembre).
Gianluca Martinenghi dirige La Gioconda di Amilcare Ponchielli, interpretata da Rebeka Lokar / Alessandra Di Giorgio (nel personaggio eponimo), Angelo Villari / Carlo Ventre (Enzo Grimaldo), Franco Vassallo (Barnaba) Silvia Beltrami / Chiara Mogini (Laura Adorno), George Andguladze (Alvise Badoero). Filippo Tonon è il regista, scenografo e costumista, Valerio Longo il coreografo di questa coproduzione che associa i Teatri Lombardi dell’As.Li.Co, il Teatro di Maribor e il Teatro Filarmonico di Verona (dal 13 al 21 dicembre).
I due appuntamenti con Tersicore parlano linguaggi coreografici diversi, classico e contemporaneo. Titolo esemplare del balletto accademico, Il lago dei cigni di Čajkovskij viene riproposto nella coreografia di Aleksej Fadeecev, a sua volta mutuata dall’originale di Petipa e Ivanov. Corpo di ballo e solisti sono del Teatro Nazionale Georgiano di Tbilisi (dal 24 al 28 gennaio).
Roberto Zappalà, coreografo e regista di levatura internazionale nel campo della danza contemporanea, presenta Trilogia dell’estasi, una novità assoluta ispirata a celeberrime partiture: Après-midi d’un faune di Debussy, Boléro di Ravel, Le sacre du printemps di Stravinskij. La Compagnia Zappalà Danza, da lui fondata e diretta da oltre trent’anni, si esibirà sulle musiche eseguite dal vivo dall’Orchestra del Bellini diretta da Vitali Alekseenok (dal 6 al 13 ottobre).
Info teatromassimobellini.it