“Porterò via con me, da Palermo, una grande voglia di riscatto, che c’è. Anche se non ha ancora quell’energia che ci vuole per costruire questo modello operativo, fatto della collaborazione tra le istituzioni, la società civile, l’associazionismo e i cittadini. E’ un percorso che si può fare. Ecco, io questa voglia di riscatto la porto via con me”. A parlare con l’Adnkronos è il Prefetto di Palermo, Giuseppe Forlani, che domani lascia l’incarico per andare in quiescenza.
Il momento più difficile? “Sono stati due”, risponde, “entrambi durante il periodo della pandemia. Il primo, quando c’è stato il contagio nella ‘Missione Speranza e Carità’ di Biagio Conte. Devo dire che quello è stato un esempio di cosa si piò fare collaborando. Si è riusciti a gestire una situazione che sembrava ingestibile, con la collaborazione di tutti, a partire dalla comunità di Speranza e Carità, ma anche la Caritas, la Croce Rossa, le forze dell’ordine. E l’altro momento davvero complicato è stato quando uno dei fuochi del contagio era allo Zen. Una difficoltà diversa, ma anche una forte collaborazione con le forze di polizia, le parrocchie, per riuscire a contenere i comportamenti”.
E fa un esempio: “C’erano tantissime persone con un lavoro precario, o con un lavoro nero, e occorreva convincerli che potevano essere aiutati, che bisognava mettere, ad esempio, la mascherina e usare i dispositivi per evitare il contagio”.
Sul versante della lotta alla mafia, il Prefetto Forlani lascia “una città con una visione diversa delle estorsioni, una prospettiva che va aggiustata. E’ il modello che avevo già conosciuto al Nord, con la ‘ndrangheta, come grande ‘agenzia di servizi’, e questo ‘modello, diciamo così, viene replicato in queste terre, dove il pizzo era il controllo del territorio, era la provvista per le famiglie dei carcerati e oggi assume questo aspetto”. Il comportamento è di una persona che dice: ‘Mi rivolgo alla mafia per non avere un concorrente troppo invadente, per risolvere un mancato pagamento’. Esiste, insomma, una sorta di una propaganda sotterranea. Qui, in Sicilia, è un po’ diverso. Tu sai a chi rivolgerti e lo vai a sollecitare. La politica ha fatto allo stesso modo, non è la mafia ad andare a cercare la politica”.
E ricorda che “un grande lavoro che fa la Prefettura” è quello con la “prevenzione amministrativa antimafia. Non è semplice, naturalmente. Il paradigma con cui si leggono le interdittive è quello della ndrangheta al Nord. Qui abbiamo imprese che non sono mafiose, cioè che non appartengono alla mafia ma che chiedono i loro ‘servizi’. E tutto questo va combattuto…”. (di Elvira Terranova/AdnKronos)