Catania, 30 giugno 2022 – Le restrizioni adottate durante i periodi più difficili della pandemia stanno piano piano scomparendo, ma la paura del contagio a causa dell’infezione da Covid-19 alimenta ancora molti dubbi tra i cittadini di tutte le nazioni. Sarà sicuro mangiare nei ristoranti o frequentare luoghi chiusi? Qual è il livello di rischio associato a qualsiasi attività sociale che si svolge in spazi al coperto?
Sorprendentemente, non abbiamo molti dati statistici sulla trasmissione del Covid-19 attraverso l’aerosol prodotto dalle sigarette elettroniche ed esalato dai vapers. Un dato importante da dedurre: la crescente popolarità del fumo elettronico come valido sostituto del fumo tradizionale e la possibilità di poter utilizzare tali dispositivi in luoghi chiusi solleva delle domande sul possibile rischio di trasmissione aerea del SARS-CoV-2 attraverso l’aerosol delle ecig.
Un pool di ricercatori internazionale ha sviluppato un modello di rischio teorico per spiegare come la visibilità dell’aerosol esalato abbia conseguenze in termini di sicurezza, diversamente da quanto accade per altre attività respiratorie. Lo studio ““Analytic modeling and risk assessment of aerial transmission of SARS-CoV-2 virus through vaping expirations in shared micro-environments”, ha analizzato il rischio di contagio in due distinti scenari al chiuso, un ristorante e una abitazione, sottoposti a ventilazione meccanica o naturale, al cui interno si trovano persone con e senza mascherina.
Incredibilmente, le persone di fianco a un vaper infetto che svapa, sia in casa che al ristorante, incorrono in un rischio di contrarre il Covid di solo l’1% maggiore rispetto a quello valutato per la normale attività respiratoria al chiuso (senza dunque l’aggiunta dell’abitudine allo svapo). Un rischio che si alza al 5-17% per lo svapo ad alta intensità e oltre il 260% se prendiamo in considerazione un’attività come il parlare per lungo periodo o il tossire.
Dati che devono essere valutati e adattati considerando fattori come le mutazioni del virus, lo stato di vaccinazione dei soggetti e i fattori ambientali (variazioni di temperatura ed umidità, inquinamento dell’aria e dinamica atmosferica). I ricercatori, data la mancanza di dati empirci in materia, hanno assunto come ipotesi di lavoro che tutte le attività respiratorie fossero ugualmente influenzate da tali fattori.
“È ormai noto come il Covid-19 sia una patologia che si trasmette prevalentemente attraverso piccolo particelle nell’aria” ha spiegato Robert Sussman, professore di fisica presso l’Università nazionale del Messico “studiare quali attività respiratorie comportino un rischio ulteriore di contagio è fondamentale. Il modello di rischio adottato nello studio, anche con specifiche limitazioni, dimostra come il vaping aggiunga solo l’1% di rischio di contagio, se valutato all’interno di luoghi al chiuso come case o ristoranti. Inoltre, coloro che si trovano nelle immediate vicinanze di un vaper infetto possono visualizzare concretamente l’aerosol emesso e ciò rappresenta un’ulteriore precauzione intuitiva che può aiutarli ad evitare le particelle infette”.
“Smettiamola di stigmatizzare gli svapatori” ha aggiunto il prof. Riccardo Polosa, fondatore del CoEHAR “Questo è il primo studio a valutare in via teorica il rischio connesso allo svapare in luoghi chiusi. Ovviamente, è bene considerare la pandemia da Covid-19 come un fenomeno complesso. Il modello che abbiamo sviluppato necessita di essere aggiustato sulla base di possibili varianti, di misure di precauzione come le mascherine e dello stato vaccinale. Tuttavia, è chiaro che il vaping aggiunge solo una esigua percentuale di rischio di contagio, molto meno di normali attività respiratorie quali il tossire. In un momento così cruciale, durante il quale tutti stanno cercando di tornare alla normalità, è importante ricordarsi che dobbiamo avere fiducia nella scienza e nello sviluppo di soluzioni mediche che mettano la parola fine alla pandemia, invece di preoccuparsi di abitudini, come il vaping, che possono salvare la vita di migliaia di fumatori in tutto il mondo”.
IL MODELLO DI RISCHIO: UNO STUDIO INNOVATIVO
Lo studio ha considerato i dati dedotti dai volumi respiratori esalati, i tassi di emissione, il tipo di goccioline respiratorie emesse e la distanza di diffusione delle esalazioni, nonché la relativa visibilità. I ricercatori si sono concentrati sul valutare l’esposizione al virus trasportato potenzialmente da una massa di goccioline, le cosiddette droplet, in spazi al coperto, senza considerare se l’eventuale esposizione sia diretta o indiretta.
È lecito, infatti, ritenere che le persone che si trovano a contatto in luoghi al chiuso riescano ad evitare l’esposizione diretta ai flussi respiratori e dunque possano essere soggette perlopiù ad esposizione indiretta a causa di goccioline essiccate note nella letteratura medica con il nome di “aerosol”. Un altro aspetto da valutare è la significativa diminuzione del tempo di esposizione dovuta alla natura intermittente ed episodica dello svapo.
Diversi gli scenari considerati: uno scenario domestico (un vaper infetto e tre possibili famigliari esposti) e un ristorante con almeno 30 avventori, valutato sia in condizioni di ventilazione naturale (porta aperta) sia in condizioni di ventilazione meccanica.
Nella valutazione del rischio, l’uso della mascherina non è stato considerato. Anche se si valutano scenari quali bar e ristoranti, è probabile che gli avventori rimangano senza mascherina per periodi di tempo prolungati, per mangiare o bere (così come avviene se devono usare le ecig). Una volta lontano dalla zona di esposizione diretta (visibile e delineata per lo svapo), chi si trova nell’area e indossa una mascherina, sarebbe sottoposto allo stesso rischio di esposzione indiretta come negli spazi in cui non si svapa.
Le esalazioni di aerosol conseguenti al vaping rappresentano un aumento minimo del rischio rispetto alla respirazione continua a casa o al ristorante (rispettivamente 1% di rischio aggiunto e 5-17% per lo svapo a bassa e alta intensità). La possibilità di visualizzare l’aerosol agisce come una sorta di fattore protettivo, evitando o diminuendo il rischio di esposizione diretta.
LINK: https://link.springer.com/article/10.1007/s11356-022-20499-1