CATANIA – Apparizioni impalpabili. Intuizioni ineffabili. Questo sembra suggerire senza mai svelarsi appieno, L’ombra di Euridice lo spettacolo messo in scena per la rassegna Altrove del Teatro Stabile nella corte del Castello Ursino. Questa breve e greve performance su un flebile scorcio dell’Aldilà, rispetta i canoni essenziali della poesia, l’armonia dei suoni, l’apologia delle luci. La corte del castello federiciano e una serata capricciosamente ventosa hanno creato quell’atmosfera da mito greco di cui la nostra amata terra è attanagliata, intrisa, corrosa dalla morsa del Fato, pervasa dalle paure ancestrali che l’uomo e la donna hanno nei confronti del passaggio, dell’ultimo viaggio, che tutti ci incombe. I canti femminili (diretti da una magica Costanza Paternò) velati da un gioco di ombre cinesi e di luci di taglio (a cura di Salvo Orlando) hanno introdotto la dea della fecondità e delle messi per eccellenza Persefone (Liliana Randi) algida e allo stesso tempo materna, con quel tocco di malizia che sussurra alla giovane Euridice (un’appassionata Giovanna Mangiù): “anch’io so cosa significa correre per i campi felice e finire giù per l’Ade”: solo che Persefone si ritrova col marito Ade, mentre Euridice lascia il marito Orfeo (un lirico Angelo D’agosta) tra i vivi che sono quelli che soffrono di più…l’intervento di Hermes (un poliedrico Filippo Brazzaventre) ironico e beffardo in luogo di psicopompo ovvero guida di anime, in pena, ci mostra ancora una volta appieno, che loro sono Dei immortali e per quanto possano colludere con le cose dei mortali, lo fanno solo per passare il tempo, altrimenti noioso e monotono nelle loro beghe astrali. Ci hanno creato per non perdere di vista alcuni dei sentimenti a cui ambire di tanto in tanto, quali la compassione, il sacrificio e l’amore? E qual è il confine tra la realtà e la fantasia a cui Alessandro Orfei, affetto da uno psichiatrico asettico disturbo post traumatico da stress, deve soccombere? Forse l’unica vera libertà è decidere quando avvenga il trapasso in una dolce Eutanasia. “Puoi toccare la sua mano ma ti sembrerà vuota”: paradossalmente è hic et nunc che il contatto spirituale avviene. Mirabile riduzione drammaturgica a cura di Mario Giorgio La Rosa che la regia di Angelo D’Agosta ha reso nella tangibilità teatrale umettando di emozioni la nostra origine divina.