Due pensionati che hanno scelto di fare della casa, della vita e del lavoro precedente la propria volontaria tomba, senza nessuna missione da compiere se non quella di eseguire in maniera corretta come dimostra “il vero atto d’amore finale” senza mai essere entrati in contatto se stessi se non attraverso un disturbo preciso: il disturbo dell’accumulo hoarding disorder, definito in un passato psichiatrico disposofobia. Ironicamente definito “paura di disposarsi” ovvero in una coppia di bisogno quale la nostra di separarsi. È il trionfo dell’Accumulo.
Accumulo dei 5 centesimi di lui come bancario che ha accumulato una fortuna; disturbo accumulato da lei con le sterline d’oro in cambio di favori nell’impiego comunale. Accumulo di cibo comprato una volta al mese; accumulo di informazioni giuste o sbagliate, contraddittorie e rassicuranti; accumulo di spazzatura morale e quindi malattie con accumulo di pillole dal colore e forma accattivanti. Anche il sesso soffre del disturbo di accumulo: privo di contatto reciproco si svolge come autoerotismo in contemporanea. Il regista aveva chiesto agli attori di evitare le caratterizzazioni, proprio per far emergere quel “malo sentire”. E il finale spiegherà cosa significhi quel sottotitolo, Una prova d’amore. Ma come tutte le opere di Nino Romeo anche Casa Casa ha preso una sua vita propria, autonoma, una egregore; e se l’autore ha ben pensato di restituire una forma di vita reale dei due coniugi con tutta la noia, la piattezza e l’insensatezza delle loro rutilanti affermazioni ridondanti, ripetitive e prive di ammiccamenti ci pare che il fine sia stato raggiunto ampiamente tale da giustificare un momento di perplessità sull’applauso finale e la botta di paura che doveva per forza giustificare il perché del sottotitolo.
I due coniugi “sciattamente e malignamente” interpretati alla perfezione da Graziana Maniscalco e Nicola Costa sono dei perfezionisti; dipendono dal contatto visivo con gli oggetti; hanno relazioni contrastanti con i propri familiari; soffrono di depressione; sono disponibili al distacco dagli oggetti solo se rassicurati che non saranno buttati/sprecati; vivono in un eccessivo disordine; provano piacere dal proprio disturbo (egosintonia), a differenza di persone affette da altre patologie; hanno una intensa paura di sbagliare e commettere errori; soffrono di ossessioni riguardo ordine e simmetria; sono attratti dall’utilità degli oggetti, dal non sprecare e dal senso di responsabilità; evitano il disagio (punto chiave nello sviluppo e nel protrarsi del disturbo); hanno una storia personale caratterizzata da assenza di calore, accettazione e supporto nei primi anni di vita; parlano in modo molto elaborato, con troppi dettagli e perdendo il filo del discorso; le capacità di comportamento finalizzato, pianificazione, organizzazione, decisione, attenzione e motivazione risultano in parte compromesse. E non piacciono proprio a nessuno. Nemmeno a chi li interpreta nella vita reale come specchio sociale senza soluzione di continuità. Da stasera fino al 20 ottobre alla Sala Chaplin.