L’idea del format Appunti diVini è quella di mettere in contatto i produttori con tutto l’indotto che ha a che fare con il vino, quindi le Strade del Vino, i Consorzi, le associazioni di sommelier, degustatori, Le Donne del Vino e tutte le associazioni che sono coinvolte, insomma tutti coloro che hanno necessità e voglia di raccontarci tutte le storie del vino, delle famiglie del vino, comprese la Letteratura e la Cultura e la Mistica del Vino.
Nino Aiello storico giornalista enogastronomico e responsabile per la Sicilia della Guida ai vini d’Italia del Gambero Rosso ci racconta le origini del vino costellate da una serie di aneddoti e di storie vere che hanno costituito la sua leggenda: dalle origini, ai greci e i romani. Fino alle invasioni barbariche. E un accenno alle abbazie.
Le citazioni sono estrapolate dalla meravigliosa intervista di Nino Aiello
La particolarità della storia della vite è che torna in tutti i testi sacri, i più antichi della storia del mondo. E d’altra parte la prima cosa che fa Noè quando finisce il diluvio universale è piantare la vite. E fa anche una piccola infrazione, si ubriaca.
Qui addirittura i teologi si sono sbizzarriti ma io su questo argomento non lo voglio approfondire. Quello che voglio dire è che non è un caso che il primo miracolo di Gesù Cristo alle nozze di Cana è la trasmutazione, la trasformazione di acqua fetida, perché era l’acqua in cui si lavavano le mani, in un meraviglioso vino di alta qualità. Attenzione, Gesù Cristo inventa dall’acqua un vino di alto livello.
Questo per dire che la religione cristiana, ma questo vale anche per l’ebraismo, ricordati sempre che l’ebraismo con l’Antico Testamento precede il cristianesimo, c’è una continuità di rapporto con la vita e col vino, con le metafore che riguardano questo mondo di cui noi abbiamo la passione.
I romani i greci e il vino
I romani non erano molto filosofi, erano uomini rudi e uomini d’arme e sul fronte del vino i romani erano mercanti. A Pompei, nel 79 d.C. c’erano duecento taverne dove si vendeva il vino, come si fa oggi nelle enoteche, e c’erano i prezzi per i differenti vini elencati, la lavagnetta non c’era, ma c’era il muro e quindi il falerno, che era uno dei vini più pregiati, aveva un prezzo e così a scalare. Se tu avevi il quattrino ti compravi un litrozzo di Falerno, se non avevi il quattrino ti compravi un vino un pochettino più scarso. Quindi i romani avevano un approccio molto, molto pragmatico, da commercianti. I greci del vino fecero altro, i greci avevano una visione filosofica, era un approccio a un livello mentale e un livello spirituale più elevato. Tant’è vero che nel simposio… c’è una grande differenza, per esempio, tra il simposio greco e il convivio romano. Nel simposio greco il vino era il protagonista della serata. Al centro dello spazio dove si teneva il simposio c’era il cratere col vino e c’era il simposiarca, quello che stabiliva come il vino dovesse essere diluito. Di solito facevano un assaggio con del vino puro, però il meccanismo, che era un meccanismo anche di tipo psicologico, prevedeva che fra conversazioni amabili, ragionamenti, ecc., il simposiarca scegliesse i tempi più adeguati. Tieni presente che il simposio era un incontro fra pari, nessuno aveva un ruolo di preminenza nel simposio, il padrone di casa e gli ospiti avevano una posizione paritaria, completamente diverso era il convivio a Roma. Il convivium a Roma in fondo plasticamente l’abbiamo visto nei film in cui si vede la scena di Trimalcione. Era un posto dove il padrone si prendeva il posto, il sito, il triclinio più importante. C’era una gerarchia, c’erano quelli più importanti e quelli meno importanti, messi in maniera tale che si potessero distinguere. È come quando vai a teatro e c’è il presidente della Repubblica, nel parco reale o nei parchi vicini ci sono i maggiorenti, ci sono i politici, ci sono gli uomini importanti, i cardinali. Il convivio romano era questo. Ma era anche un’altra cosa. In realtà lì non c’era un simposiarca vero e proprio, o perlomeno se c’era sceglieva altri meccanismi. Peraltro spesso si tramutava in un’orgia. Nel simposio greco questo non era ammesso, se non in una misura che i greci stabilivano in maniera molto raffinata, i romani no.
I monaci e il vino
Crolla l’impero romano d’Occidente, i barbari portano una cultura diversa. Intanto sono nomadi e la vigna richiede cura, stabilità, devi aspettare qualche anno prima che cominci a fare il frutto. I normanni, i vichinghi, gli uomini del nord, invece bevono birra. Dopodiché si spostavano, andavano in giro, non erano interessati al vino. Ecco il passaggio fondamentale. Perché rimane confinata nei conventi la cultura della vite e del vino? Questa è la domanda. E rimane confinata e diventa essenziale perché non è possibile dire messa a fare liturgia in assenza di vino. Perché Cristo, nell’ultima cena, disse questo è il mio sangue, ed era il vino. E questo è il mio corpo. Quindi non si può dire messa. È una necessità ineludibile. Bisogna avere il vino perché il vino nel meccanismo della transustanziazione, che è una parolaccia che significa che nella trasmutazione da vino in sangue di Cristo richiede il vino. I monaci, anche nei secoli bui, poi nell’827 arrivano gli arabi, che non hanno la cultura del vino, però i monaci avevano un’esigenza pratica. Cioè fare in modo di poter produrre vino. In questa maniera diventano grandi esperti, grandi conoscitori di tecniche, di metodiche, che vanno dalla potatura della pianta, alla conservazione, a tutta una serie di cose. Siccome lo faranno per parecchi secoli, acquisiscono una competenza straordinaria. Per cui nel libro di Hugh Johnson a un certo punto si parla di il chiostro e il vino. È certo, perché come poteva andare avanti una religione che aveva necessità di avere il vino per le funzioni religiose, se non mantenendo, anche in piccolo, anche in quantità delimitata, la produzione di vino. Quindi nasce per questo motivo. Un discorso importante che il vino viene recuperato, quindi la vigna viene recuperata per un motivo religioso.