“Il Sale” ristorante in via santa Filomena a Catania rappresenta già da molti anni un punto riferimento dove si inventa, si sperimenta, si crea. Viene menzionato da Gambero rosso, City Map e Touring club. Ma in questo articolo raccontiamo un format che già alla sua seconda stagione e di Mecook parliamo ha riscosso tanto successo provocando emozioni di gusto e ricordi, perché l’uomo come essere umano è ciò che “mangia”, diceva il filosofo Feuerbach “l’immortalità degli dei deriva dal fatto che, come racconta Omero, non si nutrono di pane e vino ma di cibi non umani come nettare e ambrosia, ovvero la materia stessa dell’immortalità”. Come il ricordo e la memoria che è un modo di tramandare ed essere immortali.
Massimiliano Lauricella de Il Sale: “C’è chi cucina e racconta, chi osserva e gusta. Chiunque può vestire i panni di chef per un giorno inventare un menu e prepararlo per i propri ospiti. Sono personaggi in cucina che ordinariamente non cucinano e abbiamo immaginato a partire da l’anno scorso con dei produttori di vino mettendoli in un situazione di “scomfort zone” invece che fare una degustazione impettita una cucinata familiare. Ed è stato così che abbiamo scoperto che erano spesso le mogli a cucinare e loro si erano fregiati di essere chef. “Mogli e figli” che come stasera con la famiglia Wiegner, della pregiata casa vinicola, realizziamo un menu “come si mangia a casa loro” utilizzando le indicazioni del vignaiolo Marco figlio di Peter Wiegner. Come i ricordi del nonno della vignaiola Irene Badalà le “finte patatine” che erano pezzi di lardo di maialino che rimanevano e li buttava nel braciere e questo lardo invece che sciogliere si arricciava e sembrava una patatina. Abbiamo ospitato anche attori come Gino Astorina che ha cucinato assaggiato tutte le pietanze e ci ha aiutato anche a servirle mettendoci in guardia in maniera molto divertente di tutti i guai che sarebbero successi ovviamente è stato un successo. La scelta dei personaggi è avvenuta tramite il direttore della rivista Wineonsunday, la giornalista Valeria Lopis, che di fatto segue tutte le cantine dell’ Etna, e il sommelier Giovanni Guglielmino che sceglie le cantine, ne abbiamo oltre 130. Quello che ci interessa oltre “la tecnica del vino”, è l’amore, il cuore e la storia di come sono arrivati a fare il vino, visto che spesso fanno altre professioni e quindi come portano amabilmente e liberamente il racconto dell’Etna in giro per il mondo. Vuoi sapere cosa sta succedendo ai vini dell’Etna? Non sono un sommelier, ma li seguo e li bevo già da almeno 10 anni ma sono cresciuti così tanto tutti i produttori che hanno spinto e portando alle fiere più importanti, con grande sacrificio e investimenti, la forza del vulcano ne stanno raccogliendo i frutti. Quest’anno ha vinto il Vinitaly, Al Qantarah, abbiamo avuto qui a Mecook, Pucci Giuffrida a cucinare e a declamare poesie da cui appunto ha preso lo spunto dei nomi di alcuni vini. Ci sono molti stranieri come Wiegner che non è catanese, ma ha trovato qualcosa che lo ha spinto a rimanere. Hanno contribuito pure loro col non essere siciliani a rigirare la sfaccettatura delle mille zone siciliane. Abbiamo avuto Conte Tasca d’Almerita, abbiamo avuto Anna Alessandro delle cantine Alessandro di Camporeale, Federica Fina della cantina omonima, donne di grande vigore…”
Valeria Lopis: “Il racconto di Mecook non è una classica degustazione. Ci siamo immaginati un racconto capovolto partire da quello che è il piatto la parte più gustativa per poi arrivare all’abbinamento del vino sulle ricette della famiglia e abbinare il proprio vino con un soggetto che non è indigeno. La seconda stagione è stata molto partecipata e abbiamo toccato tanti areali siciliani”.
Giovanni Guglielmino: “La proposta di Wiegner dei vitigni sia alloctoni e autoctoni come il Fiano, l’Aglianico, il Cabernet Franc adattati all’Etna”.
Marco Wiegner: “Siamo stati tra i primi a fare il biologico abbiamo tenuto da sempre la qualità etica nella produzione. Per quanto riguarda la scelta di vitigni alloctoni l’abbiamo fatta perchè si può paragonare lo stesso vitigno in diverse parti dove viene coltivato. Noi coltiviamo il 70% vino Etna e il 30% produzioni alloctone piccole chicche 2000/2500 bottiglie annue. Per esempio questo Elisena Fiano del 2022 imbottigliato dopo un mese e mezzo è molto giovane, ricorda un’estate molto calda mantiene in cantina l’espressione di un annata che è andata così. Noi usiamo solo uva. Non usiamo sostanze colloidali, stabilizzanti o aggiunte aromatiche, il terroir viene mantenuto quindi non centra niente con le bevande che bevete: un vino che ogni anno è sempre uguale è impossibile da tenere. Vuol dire che c’è qualche traccia di uva ma è una bevanda. Questo vino ha un alto tenore alcolico, una bella struttura e una bella maturazione. Questo caldo è stato pesante sia per noi umani e le piante che sono vegetali ma sono esseri viventi tanto quanto noi si adeguano e si esprimono di conseguenza. Per fare un altro esempio il cabernet franc che è una passione di mio padre Peter che ha origine nella zona della Gironda (Bordeaux), in Francia che viene principalmente coltivato al nord Italia, sull’Etna cambia è più minerale è meno erbaceo… Per il fiano e il grecanico abbiamo sempre una terra lavica, la zona del Vesuvio, con altitudini più basse, per noi si scende di latitudine ma alza la altitudine: a 750 metri ha ritrovato la sua vera identità, siamo su una terra lavica fresca, si assiste ad una esplosione di sapori e odori senza togliere niente ad altri territori. È vero il professionista enologo ti serve per i primi 5 anni, poi devi con la tua idea anche se vai contro all’enologo perché magari lo appiattisce nel suo fervore naturale e fiammeggiante e la storia del “niente solfiti” esiste un minimo indispensabile di zolfo, perché comunque i protettori naturali del vino sono: alcool, acidità e tannino”.
Approfondimento dell’articolo dei piatti e degli abbinamenti dei vini serviti durante la serata su leculture.it