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Simenza, Cumpagnia Siciliana Sementi Contadine in un’intervista di Georgia De Angelis

SIMENZA – Cumpagnia Siciliana Sementi Contadine è un’associazione di agricoltori custodi, valorizzatori, tecnici, ricercatori e appassionati che mirano a tutelare e valorizzare la biodiversità siciliana.

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Un atto fondamentale a garanzia delle generazioni future, considerando che l’Italia detiene il 50% della biodiversità d’Europa e a sua volta la Sicilia, detiene il 50% della biodiversità italiana.

Ho incontrato il presidente Giuseppe Li Rosi, un uomo che ha scelto di dedicare la sua vita all’agricoltura e alla diffusione di un modello nuovo, che dia voce ai piccoli produttori, basato su 4 regole fondamentali:

rispetto per l’ambiente; utilizzo delle risorse genetiche; rispetto per l’essere umano; modifica nella dieta.

Grazie Giuseppe per averci concesso quest’intervista, ci racconti com’è iniziata la vostra avventura?

Simenza è stata costituita ad Enna, ci siamo incontrati nella Torre Federiciana, dove si è riunito il primo Parlamento siciliano che è stato il primo Parlamento Europeo, cosa emblematica per noi. Da lì parte la storia dell’impero di Federico II che grazie alla Sicilia fu Stupor Mundi.

In realtà i primi semi di grani antichi io li ho piantati 18 o 19 anni fa, e quindi il percorso è molto lungo fino ad oggi, in cui Simenza, grazie agli uomini e alle donne che ne fanno parte è una realtà.

Simenza nasce guardando un campo evolutivo, dove tutte le spighe sono diverse una dall’altra, il riconoscimento di questa diversità ci permette di stare insieme, perché fin quando ci dicono che siamo tutti uguali, non si può stare insieme, perché nasce la pretesa che l’altro agisca come te, ma se si riconosce che l’altro parla un’altra lingua, ha un’altra storia, un’altra cultura, un altro territorio, ci comporteremo da stranieri e il siciliano è per natura un esterofilo, questa sua caratteristica gli facilita l’incontro con l’altro. Basta cambiare il punto di vista.

Grande verità quello che dici, forse dovuta anche a tutte le dominazioni che abbiamo avuto.

Nel nostro DNA ci sono circa 16 civiltà e il contadino siciliano che parla in dialetto sta parlando 18 lingue perché nella lingua siciliana ci sono 18 influenze di lingue diverse, compreso il Sanscrito o il Codice lineare B, quindi Simenza non sta facendo altro che stimolare la conoscenza di noi stessi e quando noi abbiamo scoperto “noi stessi” abbiamo scoperto un grandissimo patrimonio.

Cercare fortuna fuori, porta soltanto a un impoverimento della nostra terra e della vita di chi emigra, se invece si attiva un processo di riscoperta delle nostre potenzialità e del patrimonio sommerso che ognuno di noi ha nel nostro orto, avremmo così tanti elementi che ci porterebbero a un’evoluzione e potremmo riprendere il compito che la Sicilia ha avuto nei vari millenni: essere indicatore di sviluppo per il Mediterraneo innanzitutto, per l’Europa o anche per la Nazione di cui solo da 150 anni facciamo parte.

Ne sono convinta, γνῶθι σεαυτόν “conosci te stesso” è scritto sul frontone del tempio di Delfi e noi dobbiamo ripartire dalle nostre radici profonde. A questo proposito, ultimamente si è scoperto che anche il riso faceva parte delle nostre coltivazioni?

Tracce della presenza di riso nelle terre siciliane le troviamo a partire dal nostro ricettario regionale: gli arancini, gli sfinci, lo sformato di riso e altre pietanze, così si è compreso che probabilmente il riso era una coltura presente; purtroppo abbiamo perso le nostre varietà, ma abbiamo tutte le condizioni ambientali per coltivare riso senza l’allagamento che di solito si usa fare al nord, perché tutta quest’acqua viene utilizzata per mitigare le temperature.

Quali sono le zone in Sicilia maggiormente vocate alla coltivazione del riso?

Sicuramente tutte quelle pianeggianti: la piana di Catania, di Lentini, di Gela. Potrebbero essere queste le zone, certamente ci vuole dell’acqua perché il riso è una coltura estiva e ha bisogno di acqua, ma poter fare gli arancini con riso siciliano, non avrebbe prezzo.

Giuseppe ci parli dei progetti a cui state lavorando ultimamente? Ricordo che qualche tempo fa raccontavi dei contatti con la Siria, per la tutela delle loro sementi.

In Siria esisteva un centro di ricerca banca di germoplasta con sede ad Aleppo, prima che scoppiasse la guerra, pensarono di affidare i loro semi ad altri, i tre/quarti delle sementi andarono in Australia; un miscuglio di semi costituiti da uno scienziato italiano che lavorava da consulente in Siria, sono arrivati nella mia azienda.

Da lì inizia il mio rapporto con il miscuglio.

In un normale campo di grano, non c’è una spiga uguale a un’altra (tutt’altro rispetto a quello che siamo abituati a vedere), questa variabilità, permette a un campo di grano di agganciarsi ai vari cambiamenti climatici, selezionarsi per fungere da seme particolare per quell’azienda e per quell’appezzamento di terra, difendersi dalle piante infestanti.

Ogni anno si pensa di ridurre la selezione prendendo altri miscugli fatti in altre zone della Sicilia, rimescolarli nuovamente e piantarli nelle singole zone.

Da un punto di vista reologico, in laboratorio il grano misto è eccezionale per la realizzazione di tutti i prodotti da forno perché ha tanti tipi di glutine, tanti tipi di flavonoidi, una serie innumerevole di proteine, di polifenoli e questo permette una grande capacità tecnica di lavorazione.

A che punto siete col progetto Simenza?

Siamo in numero crescente, abbiamo un maggiore coordinamento tra le aziende agricole, si stanno coordinando le produzioni su contratto, quindi da 100 ettari siamo passati a 460 ettari di produzione concertata e probabilmente arriveremo a mille ettari il prossimo anno.

Stiamo tenendo bene il prezzo del frumento dai 70 ai 90 euro/quintale; si sta coagulando un gruppo di imprenditori, soci dell’associazione, che stanno per costituirsi in consorzio, un soggetto giuridico economico a latere di Simenza che renderà visibile in sottoprodotti finiti il lavoro che abbiamo fatto.

La sostenibilità per gli enti di ricerca si basa su tre parametri: il rispetto per l’ambiente,  l’aspetto sociale e l’aspetto economico; noi stiamo aggiungendo il quarto parametro, l’aspetto storico-culturale, che abbraccia a 360 gradi tutta la sfera umana, ciò sta facendo crescere in qualità, ma anche in numero, la nostra associazione.

Ci credi a una Sicilia al 100% grani antichi?

Questo è il nostro obiettivo, perché una Sicilia interamente a grani antichi non significa ridurre le produzioni, perché nel 1940 la Sicilia era tutta coltivata a grani antichi e, si produssero 9 milioni di quintali di frumento. In Sicilia oggi, dove i grani antichi sono l’1,5%, con tutte le tecniche moderne riesce a produrre solo 8 milioni e mezzo di quintali.

Non è vero che riducendo le produzioni per ettaro si va a impoverire la possibilità di produzione sul pianeta, quindi questa paura che ci vogliono innescare che nel 2050, non potremo mangiare perché saremo 12 miliardi, è una falsa paura, una menzogna per farci introdurre gli OGM nei nostri terreni.

A parte il fatto che noi oggi buttiamo così tanto cibo da poter sfamare 5 miliardi di persone, sono dati Fao questi.

Noi comunque siamo qui per smascherare queste menzogne, dimostrando che potremo tornare a essere Sicilia grani antichi.

le foto dei pani e dei biscotti sono di Georgia De Angelis

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